Addio a Carlo D'Angiò, poeta del folk: fondò Nccp e Musicanova

Carlo D'Angiò
Carlo D'Angiò
di Federico Vacalebre
Martedì 6 Settembre 2016, 02:23 - Ultimo agg. 7 Settembre, 16:01
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Prima di andarsene ha voluto registrare ancora una volta con Eugenio Bennato, amico e compagno di sempre, con cui aveva fondato la Nuova Compagnia di Canto Popolare e poi i Musicanova, al cui fondamentale repertorio ha fatto ricorso ancora una volta, l'ultima volta: chissà se e quando sentiremo quel pezzo. Poi se n'è andato nell'affetto dei suoi cari: la moglie Liliana, i figli Adriano e Arianna, lo stesso Bennato, Pietra Montecorvino.

Carlo D'Angiò, il poeta del folk revival italiano, la voce acida di una terra un tempo felix, è morto poche ore fa, a 70 anni, vinto da un tumore che se l'è portato via in pochi mesi. L'ultima apparizione pubblica alla Feltrinelli di Napoli, pochi mesi fa, per il lancio di "Enneenne", l'album degli Almamegretta in cui toccava proprio a lui dividere con Raiz le linee di canto di «Musica popolare», invito ad uccidere il folk prima di restare uccisi da puristi e purismi: un afro/reggatta amabilissimo che riportava il cantastorie D’Angiò a cercare una musica nova, qualcosa che sapesse rinnegare la tradizione inverandola, che la sovvertisse con amore irriverente.
 

 

Tra i ragazzi di Roberto De Simone, a metà anni Sessanta aveva fondato con Eugenio Bennato e Giovanni Mauriello la Nuova Compagnia di Canto Popolare, in cui sarebbero poi arrivati  Peppe Barra, Patrizio Trampetti, Nunzio Areni, Lina Sastri (per un breve tempo), Fausta Vetere, Corrado Sfogli. Con loro aveva dettato la linea del folk revival italiano, ridato spazio alla tradizione musicale campana e sudista, rilanciando per primi tarantelle e tammurriate, ma anche pizziche e tarante salentine oggi così di moda. In classifica con una rilettura di "Tammurriata nera", la Nccp sfornò lp storici, mostrando la strada per una rivalutazione consapevole del patrimonio popolare, anche se c'era chi la incalzava da sinistra, chiedendole maggiore antagonismo politico. Iniziato nel '72, il distacco di Bennato e D'Angiò dal gruppo culminò rottura nel 1976 dopo il successo di "La Gatta Cenerentola", in polemica con la direzione scelta da Roberto De Simone: al teatro i due preferivano la musica, una musica che fosse antica e di derivazione popolare, ma nuova.

E Musicanova si chiamò il collettivo formato proprio nel '76, con Tony Esposito, Teresa De Sio, Robert Fix, Pippo Cerciello, Gigi De Rienzo, Alfio Antico, Andrea Nerone, Francesco Tiano, Aldo Mercurio e tanti altri arruolati negli anni. I materiali non erano più tradizionali, il suono era meno educato, il ritmo più consapevole degli anni attraversati, il purismo il nemico principale. «Garofano d'ammore» (1976),  «Musica Nova» ('78), «Quanno turnammo a nascere» (1979) e «Festa festa» (1981) sono album importanti, come «Brigante se more», colonna sonora di «L'eredità della priora», storico sceneggiato Rai di Anton Giulio Majano (1980) tratto dall'omonimo romanzo di Carlo Alianello: la title track fu il primo, e forse più importante in senso di impatto pubblico, tassello di rilettura storica in difesa dei briganti, diventando un vero classico del nuovo folk, come "Canzone per Juzzella" e il "Canto allo scugnizzo".

Ma la routine musicale non faceva per Carlo, Eugenio aveva voglia di una carriera solista e i Musicanova finirono nell'armadio dei bei ricordi, da cui furono tirati fuori ogni tanto, con gusto, ma mai con l'esplosiva presenza inziale. Carlo D'Angiò tornò al mestiere di ingegnere, per rifarsi sentire ogni tanto, sempre con Bennato, o con l'altro amico Patrizio Trampetti. 

«Viva il Sud» del 2011, è stato il suo primo, e unico, disco da solista. Doppio: sul primo cd le nuove canzoni «che alle radici trovate un tempo con le ricerche sul campo aggiunge ora le radici che sono venute a trovare noi, cioè i suoni dei nuovi napoletani, algerini, marocchini, srilankesi, ucraini...»; sul secondo i classici di una carriera importante, da «Ex voto» alla «Tarantella del Gargano», la voce per fortuna mai educata, sgraziatamente indispensabile per inserirsi nel solco della lezione appresa dai Cantori di Carpino e da Matteo Salvatore, da Giovanni Coffarelli e dagli altri grandi cantatori popolari del secolo scorso, «oltre che naturalmente dal maestro di tutti noi, Roberto De Simone».

Ma erano i brani nuovi quelli di cui era più orgoglioso: «Sono i figli di cui ora mi preme più il futuro». Il brano che dava il titolo al disco, «Pepe nero» e «Rumba algerina» erano la colonna sonora di «una società allegramente contaminata da tutti i contributi che ogni popolo, ogni immigrazione può portarle. In fondo, quando con Bennato andammo via dalla Nccp, abbandonavamo la purezza del folk per andare alla ricerca di uno stile popolare. A vedere la vita che hanno avuto alcune canzoni dei Musicanova, a partire da "Brigante se more", forse quello stile lo abbiamo trovato. Ma "popolare" vuol dire di popolo, e che oggi il popolo italiano sia un crogiuolo di razze è evidente a tutti, anche se la musica se ne è accorta prima dei politici, come spesso accade».
I funerali si svolgeranno domani a Napoli, alle 11, nella chiesa di Santa Maria Apparente al corso Vittorio Emanuele.

Addio a un brigante dei migliori, mai reazionario, mai nostalgico. Ciao Carlo, e grazie di tutto.
 

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