Sul «Vesevus» con il Solis, Aquino e Brugnano: villanelle per il Novecento

Il Solis String Quartet con Luca Aquino e Gianluca Brugnano
Il Solis String Quartet con Luca Aquino e Gianluca Brugnano
di Federico Vacalebre
Martedì 20 Settembre 2016, 12:51
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Si intitola «Vesevus», ma l’hanno appena presentato dal vivo sui conetti vulcanici di Pollena Trocchia, nell’ambito di «Pomigliano jazz». È il nuovo album diviso dal Solis String Quartet (Sud Music/Egea) con Luca Aquino e Gianluca Brugnano. Da una parte c’è il repertorio napoletano del Cinquecento e del Seicento, dall’altro la volontà di rileggerlo rispettandone le melodie, ma aggiornandone armonie e ritmi con gusto di derivazione di volta in volta jazzistico, folk, cameristico e contemporaneo. Anzi, il meglio arriva quando tutti i linguaggi sono così fusi da impedire una definizione di genere.
I puristi, ammesso che ne siano rimasti, potrebbero avere dei dubbi sin dall’iniziale azzardo di «Cicerenella»: l’album è strumentale, ma restituisce a un canzoniere, celebre e non, una dignità esecutiva che per la prima volta può fare a meno anche dei mattatori vocali a cui finora è stato affidato. Il Novecento entra nel brano di anonimo con la tromba di Aquino, sempre più in spolvero dopo l’avventura di «Petra», cd con la Jordanian National Orchestra registrato in Giordania, nel sito archeologico sotto attacco degli integralisti islamici: gli archi del Solis sono aggressivi, il suo controcanto ha dentro la storia del jazz, ma anche della canzone napoletana, del folk revival, della produzione colta del secolo scorso, e la batteria di Brugnano detta a corde e ancia il ritmo da non perdere mai di vista, anche quando lo spartito lascia spazio ad una sia pur moderata improvvisazione.
Madrigali, villanelle, villotte, villanesche e ballate subiscono lo stesso, vivificante, trattamento: «Boccuccia de no pierzeco apreturo» (Velardiniello), ad esempio, e non è certo il pezzo più riuscito, non è ballo di corte ma d’aia, e anche qui è alla tromba che viene affidato il compito di solista libero battitore, sempre con affetto e rispetto per l’originale, si intende. Il progetto «Vesevus», infatti, raccoglie eccellenze strumentali campane intorno a uno scrigno di tesori glocal. Ardito, sin dall’incipit, è «La morte de mariteto», scandito da una ritmica aggressiva e dal violoncello di Antonio Di Francia che si traveste da contrabbasso. Come da tradizione del quartetto, anche i violini di Luigi De Maio e Vincenzo Di Donna e la viola di Gerardo Morrone sanno di volta in volta farsi voce cantante o ritmica, trovando nuovo vestito per le tenerezze di «Vurria che fosse ciaola» (Sbruffapappa) o l’affondo di «Li sarracini adorano lu sole», con «Sto core mio» (Orlando Di Lasso) e «Maronna non è ccchiù» (Giovanni Tommaso Di Maio) tra i brani più trasfigurati.
«Per noi è l’ennesimo atto d’amore verso la nostra città e cultura», spiega Morrone, portavoce del Solis: «Portiamo così dentro le nostre radici che, quando non siamo distratti da lavori per/con altri artisti, finiamo sempre per ripartire da quel crogiuolo di note ed emozioni. Abbiamo messo in piedi una formazione atipica, abbiamo rinunciato all’uso della voce dopo aver fatto cantare in napoletano tutti, da Noa a Baglioni. Abbiamo lavorato con la consapevolezza di inserirci in un solco tracciato da altri: come tutti, partiamo dalla lezione di Roberto De Simone e dall’ascolto della Nuova Compagnia di Canto Popolare, ma poi abbiamo lavorato a memoria, non volendo fare un discorso filologico.

La tradizione nei musei sa di muffa, va rinnovata perché sia viva. E le prime risposte dal vivo ci dicono che questo gruppo può guardare a traguardi internazionali, facendosi spazio nei festival jazz, nelle stagioni classiche, magari anche in contenitori mainstream o quasi», conclude il violista.

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