Dario Fo, l'ultimo compleanno:
«Novant'anni, un'età folle»

Dario Fo, l'ultimo compleanno: «Novant'anni, un'età folle»
di Titta Fiore
Giovedì 13 Ottobre 2016, 09:17 - Ultimo agg. 09:57
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Avere novant’anni: «Mi sembra un’età folle». Non sentirli: «Ho ancora delle idee da portare avanti e mi indigno». Un traguardo importante, Dario Fo lo festeggia così: recitando, dipingendo, scrivendo. Con il ministro della Cultura Franceschini ieri a Verona ha inaugurato il Musalab, che nella nuova sede dell’Archivio di Stato sarà la casa dei suoi copioni, dei manoscritti, dei disegni, dei manifesti, dei costumi, delle scene, delle testimonianze di una vita straordinaria condivisa fino all’ultimo respiro con Franca Rame: «È un guaio terribile averla perduta e vivere senza di lei. Non basta la memoria. Sogno tutte le notti Franca e sogno che è viva». Con Giuseppina Manin, giornalista del «Corriere della Sera» esperta di linguaggi teatrali, cinematografici e musicali, ha appena pubblicato un libro sul suo rapporto con il sacro, Dario e Dio (Guanda, 171 pagine, 15 euro): e ne vengono fuori di cose, divertenti e profonde, in questo tirar le somme con santi e fanti che nel corso del tempo sono stati spesso i suoi bersagli, ma ancora più spesso i suoi interlocutori privilegiati. Esiste?, gli chiede Manin, senza tanti giri di parole. «No che non esiste».

Sicuro?  «Non c’è, non esiste, non ci credo. Però...».  Però cosa? «Che invenzione...!». Ecco che cosa gli piace soprattutto del suo essere un ateo militante, ma mai irrispettoso: la capacità di inventare, di attingere all’immenso patrimonio di testi ufficiali e apocrifi, ai capolavori dell’arte e agli inesausti serbatoi della tradizione popolare per costruire personalissime riletture, ardite architetture lessicali, ammicchi stravaganti e provocatori. Quei «misteri buffi» che tanta parte hanno avuto nella sua strepitosa carriera di saltimbanco e scrittore da Nobel, capace di «restituire dignità agli oppressi seguendo la tradizione dei giullari medievali», come scrissero i giurati di Stoccolma nel 1997, accogliendolo non senza polemiche nel loro sinedrio. Ironico, pirotecnico, graffiante ma anche tenero, sollecitato sapientemente dall’interlocutrice Dario Fo ripercorre così nel libro Bibbia e Vangeli, fa lo slalom tra la Genesi e l’Apocalisse, spiega e s’interroga, nega e lascia aperte le porte al dubbio, s’infiamma per l’amore «difficile, illogico, paradossale» predicato da Gesù: «”Non uccidere, non giudicare, porgi l’altra guancia” sono parole eversive in un mondo basato sul conflitto e l’odio. Un’innovazione inaccettabile per il potere, che in quel messaggio vede un’autentica minaccia».

Il potere. Mettere alla berlina il potere e i suoi eccessi è stato per lui e per Franca un dovere, e forse un piacere irrinunciabile, esplicitato talvolta con gesti clamorosi, come l’abbandono di «Canzonissima» in diretta tv per protestare contro la censura Rai nei prudenti anni Sessanta, quando anche portare il teatro nelle piazze e nelle fabbriche veniva considerato gesto trasgressivo. Sulla soglia dei novanta, che oggi festeggerà al Piccolo con il figlio Jacopo, i nipoti e gli amici più cari, sommerso dagli auguri e dagli omaggi, Dario Fo guarda con fanciullesca indulgenza al passato («rispetto a quando avevo 70 anni ho perso energia, ma me la cavo ancora bene» ha raccontato: «Lavoro, disegno, scrivo e recito, che è la cosa più pesante») e continua a non fare sconti a un presente popolato di «morti che camminano».

Morire in fondo non gli fa paura, lasciarsi andare sì. Perché è così che si muore davvero, «sposando l’ovvio, il banale».

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