Isis, Putin e Nato:
si cambia strategia

Isis, Putin e Nato: si cambia strategia
di Gianandrea Gaiani
Giovedì 10 Novembre 2016, 08:53
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Nel suo primo discorso da presidente eletto, anche se non ancora in carica, Donald Trump ha usato toni da statista, a conferma che la campagna elettorale sopra le righe è davvero archiviata, aprendo all’unità nazionale per un’America più forte promettendo soprattutto di «tutelare per prima cosa gli interessi degli Stati Uniti d’America ma di voler trattare con ogni nazione in modo equo ed equilibrato». 

È noto quali siano le linee guida della politica estera e strategica degli Usa nell’era Trump (sintetizzabile nello slogan «meno multilateralismo e più bilateralismi») anche se la storia insegna che molti programmi presentati in campagna elettorale non sopravvivono alla dura prova dei fatti concreti. 

L’esempio più eclatante è quello di George W. Bush che vinse le elezioni nel 2000 con un programma che aveva molto in comune con quello di Trump: riduzione delle forze militari schierate all’estero, inclusa l’Europa e ritiro dei reparti schierati nei Balcani il cui presidio (subito dopo la guerra del Kosovo) andava lasciato agli alleati europei. Il programma di Bush prevedeva che gli Usa rimanessero la prima potenza mondiale ma combattessero solo per tutelare gli interessi nazionali. 

L’11 settembre 2001 rovesciò le priorità dell’amministrazione Bush aprendo a una stagione di conflitti, presenza oltremare e spese per la difesa senza precedenti dalla fine della guerra in Vietnam.  Ringraziando i tanti militari che lo hanno sostenuto, ieri Trump ha voluto evidenziare come la «rivoluzione» strategica dell’America sia ampiamente condivisa nelle forze armate o almeno in gran parte di esse. 

Del resto molti dei punti sottolineati in campagna elettorale dovrebbero venire accolti positivamente anche in Europa dove invece si sprecano le dichiarazioni che esprimono preoccupazione e timori per i futuri rapporti transatlantici. 
La distensione con la Russia promossa da Trump potrebbe portare significativi benefici soprattutto all’Europa che non ha nulla da guadagnare dalla «nuova guerra fredda» promossa da Barack Obama e che Hillary Clinton prometteva di inasprire con un maggiore interventismo in Ucraina (attraversata dai maggiori gasdotti che riforniscono l’Europa) e in Siria. 

La possibilità, di chiudere con un compromesso la crisi in Ucraina renderebbe più sicure le frontiere orientali dell’Europa (e più garantiti baltici e polacchi) e avrebbe riflessi distensivi anche sui Balcani dove alla crescente minaccia islamista, insediatasi in quella regione con le guerre condotte negli anni ’90 da Bill Clinton contro la Serbia, si aggiungono oggi le tensioni con Mosca. 

Al sempreverde obiettivo statunitense di allargare a est l’Alleanza Atlantica, con il prossimo ingresso del Montenegro, risponde la volontà russa di rinsaldare i rapporti con la Serbia dove in questi giorni sono in atto manovre militari della «fratellanza slava» con truppe russe e bielorusse. 

La distensione con Mosca propugnata da Trump potrebbe quindi risolvere molti dossier oggi critici e consentire di concentrare gli sforzi comuni sulla lotta al jihadismo, minaccia esterna ed interna percepita come prioritaria sia dal prossimo inquilino della Casa Bianca sia da russi ed europei. 

Nella guerra in Medio Oriente la nuova amministrazione potrebbe dare un maggiore impulso allo sforzo bellico (finora molto blando) statunitense contro l’Isis e altri movimenti jihadisti, evitando i “boots on the ground” ma rinunciando all’obiettivo di rovesciare il regime di Bashar Assad che invece Hillary Clinton era pronta a rinvigorire fino ad instaurare una “no fly zone” sulla Siria che porterebbe a un conflitto aperto con i russi. 
Trump punta a un’intesa con Mosca e Ankara per stabilizzare la regione una volta sconfitte le forze jihadiste. Uno sviluppo che dovrebbe apparire positivo per l’Europa perché punta ad arginare quell’instabilità prolungata e diffusa a cui tanto hanno contribuito l’amministrazione Obama e la stessa Clinton col sostegno alle primavere arabe e con gli interventi in Libia e Siria. 
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