Napoli «ritrova» un suo simbolo: la testa di cavallo di Donatello torna al Mann

Napoli «ritrova» un suo simbolo: la testa di cavallo di Donatello torna al Mann
di Marco Perillo
Venerdì 18 Novembre 2016, 18:30 - Ultimo agg. 19 Novembre, 16:41
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Pochi lo sanno, ma il cavallo a Napoli è sacro: è un po' il simbolo, più o meno ufficiale, della città. Una storia che nasce con l'antico Seggio di Capuana, tra i più importanti della Napoli medievale, che come simbolo aveva proprio un cavallo rampante (questa fu, tra l'altro, la prima effigie del Calcio Napoli, prima che il cavallo si «trasformasse» in ciuccio, dopo le prime sonore sconfitte in campionato). L'equino ci riporta anche a Virgilio mago, poiché, come narra Matilde Serao nelle sue leggende, «quando un morbo fierissimo invase la razza dei cavalli, Virgilio fece fondere un grande cavallo di bronzo, gli trasfuse il suo magico potere e ogni cavallo condotto a fare tre giri, intorno a quello di bronzo, era immancabilmente guarito». Si narra poi che quel cavallo di bronzo fu fatto fondere successivamente, con l'avvento del Cristianesimo, per ricavare le attuali campane del Duomo. 

Legata a Virgilio, c'è soprattutto la nota testa del cavallo nel palazzo di Diomede Carafa in via San Biagio dei Librai, copia dell'unica parte mai realizzata di un colossale monumento equestre commissionato a Donatello da re Alfonso il Magnanimo e destinato a stare nell'arco superiore della porta trionfale in marmo di Castel Nuovo. Cominciata nel 1456, l'opera fu interrotta per molte ragioni concomitanti, tra cui la morte del sovrano (1458), la prima Guerra dei Baroni (1458 - 65) e la morte dell'artista (1466). Nel 1471 Lorenzo il Magnifico, su richiesta di Ferrante I, spedì la testa da Firenze a Napoli, come dono a Diomede Carafa, protetto del re. Nel cortile del suo palazzo in via San Biagio de' Librai la testa fu ammirata fino al 1806, quando i Carafa la donarono a questo Museo come pezzo antico di gran fama.

Oggi, grazie al notevole impegno del direttore toscano del Museo Archeologico Nazionale, Paolo Giulierini, il bronzo di Donatello torna esposto nelle sale del Mann (più 30% di visitatori con la nuova gestione). Sabato 19 novembre alle 15.30, accompagnata da una sfilata storica in costumi aragonesi, la testa troverà il suo degno posto nel percorso museale. Un metro e 75 centimetri, ammirata da Goethe nel quattrocentesco palazzo nobiliare che per secoli si è chiamato 'il palazzo del cavallo di bronzo'. Fino a che la protome, venerata dal popolo per la leggenda che la legava al Virgilio Mago autore di statue di animali portafortuna, venne donata al Museo Archeologico dall'ultimo principe di Colubrano Carafa, nel 1809.

Considerata dapprima reperto archeologico dal Vasari (che la riconobbe poi di Donatello) e Winckelmann, al MANN, tra i tesori pompeiani e Farnesi, la testa Carafa è stata sempre poco visibile al pubblico.
Eppure il professor Francesco Caglioti nel 2014 sciolse ogni dubbio sul suo autore grazie a documenti che attestano la commissione al Donatello da parte di Alfonso V d'Aragona e i mandati di pagamento al maestro fiorentino. «Il rientro della testa Carafa nel MANN assume un significato di grande rilievo - spiega Giulierini che da appuntamento a napoletani e turisti per lo svelamento nella nuova collocazione - L'opera di Donatello a Napoli collega immediatamente la città partenopea ai suoi capolavori di Firenze, si pensi alla statua del David o alla Maddalena, o a quelli di Padova (il monumento equestre del Gattamelata). Il Mann, che accolse il bronzo nell'Ottocento diventando l'ultima dimora di questa straordinaria opera, guadagna tre secoli di riflessione sul mondo classico. Non celebra cioè solo l'apporto dei Borbone alla rinascita dell'archeologia occidentale ma irradia i valori dell'Umanesimo e del Rinascimento che rappresentano forse la più grande rivoluzione culturale della storia». «Il Rinascimento - ricorda il cortonese Giulierini - era un mondo ancora fatto di manoscritti da poco riscoperti, di studi filologici, di qualche, raro, rinvenimento archeologico e di contemplazione di monumenti che emergevano ancora, quasi magicamente, nelle città che tornavano a nuova vita. Alle corti di Firenze, Milano, Roma, Mantova, Ferrara rispondono le Accademie, veri cenacoli di studiosi, come quella di Napoli: una Napoli aperta e osmotica, che sarà capace di importare anche la cultura fiamminga».
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