'Ndrangheta, preso il latitante Marcello Pesce detto "U Ballerinu"

'Ndrangheta, preso il latitante Marcello Pesce detto "U Ballerinu"
di Serafina Morelli
Giovedì 1 Dicembre 2016, 08:02 - Ultimo agg. 2 Dicembre, 09:28
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REGGIO CALABRIA. Si nascondeva nella sua Rosarno. Il latitante Marcello Pesce, detto “U Ballerinu”, era ricercato dal 26 aprile 2010, quando sfuggì alla cattura nell’operazione “All Inside”. Stamattina all’alba il blitz dei poliziotti dello Sco e della squadra mobile di Reggio Calabria: era in camera da letto e non era armato. Non ha opposto alcuna resistenza e insieme a lui sono stati arrestati con l’accusa di favoreggiamento della latitanza, Salvatore Figliuzzi e il figlio Pasquale. Ad annunciare la sua cattura un tweet della Polizia di Stato. Le ricerche del 52enne Pesce, inserito nell’elenco dei pericolosi latitanti stilato dal Viminale, si erano estese anche in ambito comunitario con un mandato di arresto europeo della Corte di Appello di Reggio Calabria. Poteva contare su numerosi appoggi all’estero, ma alla fine il capo strategico dell’omonima cosca è stato beccato, dopo sei anni di latitanza, nel suo territorio, nella cittadina della Piana di Gioia Tauro.  
 



«È inevitabile che sia stato trovato a casa sua - ha evidenziato il procuratore di Reggio Calabria Gaetano Paci, ai microfoni di SkyTg24 -. Un latitante che è anche capo operativo, in questo caso anche capo strategico, deve stare nel suo territorio e deve avere il controllo della situazione». Nel covo dove Pesce si nascondeva sono stati trovati anche molti libri. Amava la cultura e leggeva libri di scrittori e saggisti francesi, tra cui quelli di Marcel Proust e Jean Paul Sartre. Così come i romanzi di Dostoevskij. L’unica richiesta che ha fatto agli uomini della Squadra Mobile che lo hanno catturato è stata quella di poter portare in carcere alcune opere letterarie. Ma la sua grande passione era anche quella del calcio. Fu direttore generale della squadra del Rosarno ed ebbe il privilegio di essere intervistato in diretta da bordo campo nel corso dell’inaugurazione dell’impianto sportivo nel 2005. Attraverso lo sport, finanziando diverse squadre di calcio, riciclavano denaro sporco e fortificavano il controllo del territorio anche attraverso i giovani. Dopo la stagione 2004/05 lascia però il panorama calcistico rosarnese ed assume il ruolo di direttore generale del Sapri. L’esperienza in terrà campana durò però solo una stagione.  
 

“U ballerinu” – chiamato così per via della sua frequentazione nelle discoteche della cosca tirrenica reggina - era una delle menti finanziarie del gruppo, il braccio operativo dell’omonima cosca. Ed era lui a gestire i traffici di droga nel porto di Gioia Tauro. Il clan era ben organizzato e con un lavoro certosino e ingegnoso riuscirono ad espandere il loro potere fuori dai confini calabresi. «Non è il solito latitante - ha detto nel corso della conferenza stampa il capo della Mobile, Raffaele Grassi -. Ha un cervello aguzzo. È una testa pensante applicata al male. I miei uomini hanno rischiato la vita per assicurarlo alla giustizia». Il rischio infatti «di un conflitto a fuoco era altissimo», ha sottolineato il procuratore di Reggio Calabria, Federico Cafiero De Raho.

Il suo nome compare già negli anni ’90, quando alcuni rapporti di polizia ne ipotizzano l’appartenenza alla criminalità organizzata di Rosarno. Ha precedenti per associazione mafiosa, omicidio doloso, reati legali agli stupefacenti e altro. Nel 2002 viene arrestato nell’ambito dell’operazione “Gatto Persiano” per avere promosso, organizzato e diretto la cosca Pesce, operante in federazione con la cosca Albano, che stava nella zona di San Ferdinando e con altre associazioni mafiose. Nel 2010 riuscì a sfuggire al blitz “All inside”. Durante la retata dell’aprile di sei anni fa, elementi di spicco della consorteria mafiosa, come Francesco Pesce detto “testuni”, Giuseppe Pesce, detto “pecora”, Vincenzo Pesce alias “u paccio”, ritenuto il reggente della cosca, e “U Ballerinu”, sfuggirono al blitz. Probabilmente, come venne sostenuto poi nel corso del processo, avrebbero avuto delle soffiate da parte dei carabinieri. Tesi confermata anche dal fatto che, qualche giorno prima del blitz, Marcello Pesce avrebbe venduto fittiziamente le auto del suo autosalone situato all’ingresso di Rosarno, per non subire il sequestro cautelativo. Questa volta non è riuscito a farla franca. Nessuna soffiata o messaggio in codice: non si aspettava l’arrivo dei poliziotti e al momento della cattura non ha potuto far altro che confermare: “Sì, sono io Marcello Pesce”.

Da latitante, al termine del processo “All inside” di primo grado - figlio di Rocco, trucidato il 7 giugno 1969 in un agguato di mafia, e nipote del defunto boss Giuseppe Pesce - Marcello Pesce è stato condannato alla pena di 15 anni e 6 mesi di reclusione poiché riconosciuto colpevole dei delitti di associazione mafiosa ed intestazione fittizia di beni. Questo verdetto è stato poi riformato in appello con una nuova condanna alla pena di 16 anni e 2 mesi di reclusione. Del ruolo di Pesce hanno parlato anche diversi collaboratori di giustizia, tra cui Salvatore Facchinetti e Giuseppina Pesce, figlia del boss di Rosarno Salvatore Pesce, che nel 2011 decise di ribellarsi alle regole mafiose della sua famiglia.

«Oggi è una bella giornata per l'Italia: un pericoloso latitante, ricercato in campo internazionale da sei anni, è stato assicurato alla giustizia». È quanto afferma il ministro dell'Interno, Angelino Alfano, commentando l'arresto di Marcello Pesce. «La sua cattura, a Rosarno, è il risultato di una intensa attività investigativa degli uomini della Polizia di Stato di Reggio Calabria – ha sottolineato il ministro complimentandosi con il capo della Polizia Franco Gabrielli -, che hanno lavorato con competenza e determinazione. È dunque un successo investigativo di alto livello, a conferma del nostro quotidiano impegno sul fronte della lotta alla criminalità organizzata, perché i cittadini possano sentirsi sicuri e credere sempre di più della forza delle Istituzioni».

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