Montecorvino reloaded
voce di Pietra elettronica

Pietra Montecorvino con Tonino Carotone
Pietra Montecorvino con Tonino Carotone
di Federico Vacalebre
Giovedì 20 Aprile 2017, 19:23 - Ultimo agg. 20:06
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Fa finta di fare autocritica, Pietra Montecorvino, la voce più anarchica, e verace, e profonda, e spudorata, e sfacciata, della scena napoletana, e, quindi, italiana, in «Colpa mia», il suo nuovo album, edito dalla Lucky Planets.
Infatti, spiega: «Partendo dal concetto che alla fine la colpa è sempre mia, ho messo in musica l’energia che prepotentemente mi portava diretta sui miei sentimenti e visioni dell’anima e, naturalmente, mi sono trovata in sala, con le idee chiare, questo era il mio disco, con tutta la mia indisciplina, la mia libertà e non ponendomi nessun ostacolo di linguaggio e comprensione, immagini di stati d’animo, ma un concetto sicuro, chiaro, mai più schiavi dell’amore, ma liberi d’amare». Insomma, «Colpa mia» sta per «Confesso che ho vissuto» e voglio continuare a farlo, alla mia maniera. Ma , dopo «Pietra a metà», un disco dedicato alle riletture di Pino Daniele, qui il canzoniere si fa vario, nuovo, sorprendente, come gli arrangiamenti ad esso sotteso, come il tentativo del produttore Salvio Vassallo di «contenere» gli eccessi della Montecorvino, per esaltarli quando li libera.
 


«Ho voluto sonorità elettroniche in contrasto con la mia voce ruvida, e con gentilezza sono entrata nel mood sonoro», ragiona la voce esplosa con «Sud» ma mai ancora gratificata dal successo che merita: «L’ho fatto con naturalezza, con la voglia di inventare, di sperimentare. Anche per questo ho cercato, ascoltato e accettato musiche di giovani autori disposti a creare con me». È di Gustavo Martucci la firma che ricorre più spesso, al fianco di quella di Pietra, ma la sorpresa più grande è «Far away», pop ballad internazionale scritta per lei dal più che promettente figlio Fulvio Bennato.

Non gioca però a fare Bjork, Barbara D’Alessandro(così all’anagrafe), resta voce di Pietra, di tufo, di mare ma anche di monte(corvino), si mette come al solito a nudo (come nella foto di copertina di Harash Radpour dove il titolo copre i capezzoli). «Ho raccolto musiche e mi sono lasciata portare solo dall’istinto», dice lei, anche se Vassallo ha temperato quanto possibile il suo ruggito naif, provando a consegnarla ad un universo più minimalista, anche se mai ripulito dalla carica animalesca. Nella title track l’elettronica va a braccetto con il mandolino di Mimmo Epifani e fa irruzione il vocione da ultimo freak di Tonino Carotone. La cover di «A chi» è dedicata a Massimo Troisi, quella conclusiva, «Tu si’ ‘na cosa grande», la voce è sola, nuda, come mamma l’ha fatta, senza pecette copricapezzoli, svergognato canto d’amore che non è antico né moderno, perché senza tempo, inno di passione scombinata. In mezzo ci sono cose come «Allez les garcons» dove mette lo zampino anche Eugenio Bennato e incantano la tromba e il flicorno di Gianfranco Campagnoli, e «La luna», esile melodia che ricorda il De André di «La c anzone di Barbara» ma in chiave digitale.

È colpa sua, è solo colpa sua. Di Barbarella, si intende.

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