La guerra delle App «made in China»

La guerra delle App «made in China»
di Rosita Rijtano
Venerdì 8 Settembre 2017, 10:03
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Un business da miliardi di dollari, talmente goloso da generare un numero infinito di copie. E dar vita a una guerra tra Apple e gli sviluppatori cinesi. È l'universo delle applicazioni, quei programmini che, dietro le parvenze d'icone colorate, hanno rivoluzionato i nostri smartphone. E anche le nostre vite. Ci consentono di fare di tutto, dall'ascoltare musica a controllare il meteo. Un marchio di fabbrica per Apple, che ne ha fatto un vero culto. A partire dal lontano 2008, quando Steve Jobs, il «folle affamato» che ha cambiato per sempre il concetto di telefono, ha aperto il primo App store. «C'è un'app per tutto», recitava un'iconica pubblicità dell'iPhone. Da allora il boom. Un fiorire di cloni, a cui la Mela morsicata ha deciso di mettere un punto.

Secondo le stime della compagnia d'analisi tecnologica ASO 100, sono un milione i software creati in terra del Dragone che il colosso di Cupertino ha rimosso dal proprio negozio digitale in tempi record, dall'inizio dell'anno a oggi: circa 200mila in più rispetto a quelle statunitensi cancellate nello stesso periodo di tempo. Una mole enorme che non è passata inosservata. E che sta sollevando un polverone. Con annessi riverberi legali.

Perché è vero che Apple fa periodicamente grandi pulizie nel proprio store per garantire agli utenti zero truffe e massima qualità. E non è inusuale per il gruppo rimuovere decine di migliaia di programmi alla volta. Ma la sperequazione che divide gli «smanettoni» cinesi dai colleghi d'oltreoceano è sembrata inaccettabile, agli occhi di molti. E i criteri alla base delle decisioni di Tim Cook, nebulosi.

«Apple ha sempre avuto una buona reputazione nel nostro paese», ha detto Chen Wen, sviluppatore di software dedicati agli incontri online, alla rivista economica britannica Financial Times. «Ma il suo recente comportamento, come il trattamento diseguale riservato agli sviluppatori cinesi, ha lasciato molti insoddisfatti».

Tutto è iniziato il mese scorso. La firma legale Dare & Sure basata a Pechino ha depositato la prima causa cinese per violazione dell'antitrust che tutela la concorrenza tra le imprese nella Repubblica popolare: 28 gli sviluppatori rappresentati che hanno accusato Cook&Company di condotte anti-competitive. Da allora la tensione è salita. E il fronte di guerra si è allargato fino a includere altri 23 programmatori, sostenuti dallo studio Sichuan Fa Ye Law. Per un totale di 50 programmatori pronti a dare battaglia. Abbastanza per fare notizia.

Tanto Dare & Sure, quanto Sichuan Fa Ye Law accusano l'impero creato da Steve Jobs di abusare del suo controllo sull'Apple Store. Non solo, gli sviluppatori cinesi che hanno visto svanire le loro creazioni dal negozio digitale della Mela morsicata lamentano di non aver mai ricevuto alcun preavviso. Spazzati via, dall'oggi al domani, senza conoscerne il motivo. «Nel momento in cui delle compagnie importanti per Apple affermano che alcune applicazioni violano i loro diritti d'autore e devono essere rimosse, l'azienda di Cupertino lo fa con scarse indicazioni, se non alcuna indicazione», accusa in una nota la Dare & Sure. Questione di business, quindi: misure diverse per pesi differenti.

«L'App Store ha pubblicato delle linee guida che si applicano egualmente a tutti gli sviluppatori in ogni paese del mondo», tagliano corto dall'azienda, escludendo qualsiasi discriminazione. E aggiungono: «Lavoriamo sodo per assicurare che tutti abbiano successo».

La battaglia, si prospetta come una lotta tra Davide e Golia, dagli esiti incerti. Di sicuro, non sono i soli guai che Tim Cook deve affrontare nel «regno» di Xi Jinping. Sempre sul versante app, la censura web di Pechino, ha costretto Cupertino a spazzar via 450 applicazioni per vpn (virtual private network): quella rete di telecomunicazioni privata che consente a chi la sfrutta di comunicare in modo anonimo e sicuro. Ma anche di bypassare la cosiddetta Great Firewall, la grande muraglia elettronica, cioè la pachidermica struttura messa in piedi da Jinping e predecessori per tenere sotto scacco l'intera Internet dello stato asiatico. E che mette i bastoni tra le ruote alle imprese che vogliono fare affari nel mondo digitale cinese. Una situazione frustrante che accomuna tutti i colossi dell'hi-tech. E che di sicuro ha agevolato il temuto sorpasso di Huawei, firma leader nella produzione di telefonini smart, sulla Apple: le analisi della firma Counterpoint Research, rivelano che a giugno e luglio scorso l'impresa di Pechino ha scalzato alla Mela il secondo posto nelle vendite di cellulari. Piazzandosi unicamente dietro Samsung.

Un rimpiazzo definitivo? È presto per dire l'ultima parola. Apple è un culto, più che un semplice brand. Copiarla e, allo stesso tempo differenziarsene, è l'ossessione di tutti i produttori di smartphone cinesi. E grandi sorprese possiamo aspettarci dal nuovo iPhone 8, che sarà presentato il prossimo dodici settembre a Cupertino, in California. Processore di nuova generazione Apple, sistema operativo iOS 11, cassa in alluminio o vetro, impermeabili, leggermente più spessi e lunghi dei modelli attuali: sono alcune delle caratteristiche che, stando ai rumors, possiamo aspettarci. Il prezzo? Stellare: potrebbe partire da 999 dollari.
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