Addio ad ​Anna Mazza, la vedova nera della camorra: stroncata da un ictus a 80 anni

Addio ad Anna Mazza, la vedova nera della camorra: stroncata da un ictus a 80 anni
di Marco Di Caterino
Lunedì 25 Settembre 2017, 10:58 - Ultimo agg. 19:32
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Si chiude così una vera e propria epopea criminale, che ha segnato l’ultimo mezzo secolo della “storia” della camorra. Carattere forte, prima matriarca dell’onorata società e prima donna in Italia, a essere arrestata per camorra. Anna Mazza, vedova Moccia, «vedova nera della camorra» - una definizione della stampa dopo l’omicidio del marito Gennaro Moccia (1977) e che la indisponeva molto - dal primo giorno della vedovanza ha guidato la “famiglia”, retto uno dei clan più forti dell’intero panorama camorristico, e pagato un prezzo di lutto e dolore che avrebbe schiantati tutti, con l’uccisione del marito e quella del figlio prediletto, Vincenzo, detto “Angioletto”, massacrato di colpi la mattina del 21 novembre 1987, mentre era ancora in semilibertà, per scontare un residuo di pena in seguito alla condanna per aver ucciso a 16 anni, nella piazza principale di Afragola, il maresciallo D’Arminio, comandante della locale caserma, mentre sceglieva con uno dei figli più piccoli una bicicletta per la befana.

E per un personaggio come questo, come sempre accade, la storia e la cronaca lasciano il posto alle leggende. Come quella, mai dimostrata in un’aula di tribunale, di aver guidato un commando di affiliati, già il giorno dopo la sepoltura del figlio Vincenzo Moccia, individuando tutti e dodici pregiudicati del clan Magliulo che avevano partecipato all’agguato. Quella che ne seguì fu una lunga catena di morti ammazzati, e che segnò la fine della faida Moccia-Magliulo con una sanguinosa tabula rasa del cosca dal “colletto bianco”.

Secondo gli inquirenti, fu proprio lei nel 1992 ad  inventarsi la “dissociazione”, una sorta di pseudo pentimento. Ma solo di facciata. In realtà, da abile stratega, temeva che per le dichiarazioni rese dal pentito Galasso, i figli finissero in carcere. Anna Mazza fece un’altra campagna  pubblica. Invocò l’applicazione della legge sulla dissociazione dei terroristi ai detenuti per camorra (per ottenere sconti di pena senza pentimento), questa volta senza successo. Scrisse  persino  al presidente della Repubblica, al Guardasigilli, ai vertici della Direzione nazionale antimafia, a don Ciotti, a don Riboldi, per perorare in particolare la causa del figlio Enzuccio: «Mio figlio è stato preso dalla stanchezza, dalla nausea e dal rigetto nei confronti dell’ambiente criminale nel quale ha ammesso di aver operato per tanti anni per vendicare l’uccisione di suo padre… È stato guidato dalla volontà di dare una possibilità di vita onesta, di pace e di laboriosità ai figli».

Ma a differenza del bailamme che fece scoppiare ad arte nel 1993, quando fu mandata al soggiorno obbligato a Codognè in provincia di Treviso, dove vi furono sommosse popolari, attentati incendiari, blocchi stradali, e un incontro, anzi uno scontro a muso duro tra i quindici sindaci della Sinistra del Piave e l’allora ministro dell’Interno Nicola Mancino a cui chiesero  la revoca del provvedimento. Si mossero anche i leghisti,  anto che lo stesso procuratore nazionale antimafia, Bruno Siclari, dovette riconoscere che col soggiorno obbligato si rischiava l’infiltrazione mafiosa nelle regioni settentrionali. Insomma Camera e Senato, in tempo record, modificarono la norma sul soggiorno obbligato. Il 30 luglio entrò in vigore la legge 256 quella della modifica dell’istituto del soggiorno obbligato, che disponeva l’esecuzione della misura nel luogo di dimora abituale del condannato.

Il 12 agosto, la Mazza, sotto scorta, rientrò ad Afragola accolta dalla sua “scorta”, tutta al femminile, che l’accompagnava a bordo di Smart, rigorosamente di colore giallo, in modo tale da avere sempre e indipendentemente la “precedenza” e non solo nel senso letterale del termine. La sua capo scorta, Imma Capone, una donna di bell’aspetto, ma senza voler essere volgari, “una con le palle”, fu ricompensata dal clan. Le affidarono una azienda moribonda, la “Motrer”, specializzata nel movimento terra. In poco più di un anno, la ditta diventò un vero gioiello imprenditoriale e azienda leader in tutto il Mezzogiorno. Il successo diede alla testa all’artefice della rinascita della Motrer. E così donna  Immacolata “iniziò” a parlare con i Verde di Sant’Antimo, il clan del temibile “‘o negus”, dalla lunga militanza cutoliana, mentre i Moccia erano un caposaldo della Nuova Famiglia. Imma Capone fu uccisa nel marzo 2004, nella strada principale del paese. I killer esplosero una gragnuola di colpi, tutti a segno in volto e in testa, per “cancellare” per sempre chi aveva tradito.

Ieri la saga terrena di Anna Mazza, che come unico cruccio aveva quello di non far fotografare pubblicamente, è finita. Rimpianta da quanti avevano ricevuto beneficenza della “signora” e forse maledetta senza pietà cristiana da quanti, nel corso di questi cinquanta anni, hanno dovuto piangere familiari uccisi. I funerali, dopo una lunga trattativa tra la famiglia e la Questura, si terranno domani mattina alle 8, nella basilica di Sant’Antonio ad Afragola, ma con il divieto imposto dal questore di fare il corteo di accompagnamento o altre manifestazioni pubbliche.
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