«La crisi bancaria ha dei colpevoli Abi parte civile al fianco dei truffati»

«La crisi bancaria ha dei colpevoli Abi parte civile al fianco dei truffati»
di Nando Santonastaso
Domenica 5 Novembre 2017, 16:12 - Ultimo agg. 16:16
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Sono passati undici mesi da quando in una intervista al Mattino, Antonio Patuelli, presidente dell’Abi, aveva chiesto che venissero resi pubblici i nomi dei debitori corresponsabili della crisi e del fallimento delle banche finite nel mirino della magistratura e degli organi di vigilanza. Da allora, a quanto pare, il tempo non è passato invano visto che quello che Patuelli chiama “un ragionamento più che una proposta” è ancora oggi al centro dell’attenzione dell’opinione pubblica e si è, soprattutto, sostanziatO di clamorosi provvedimenti giudiziari e della costituzione di una commissione parlamentare di inchiesta. 

Soddisfatto, presidente?
«Il mio ragionamento ha trovato molti consensi. Le indagini della magistratura hanno portato ai nomi dI insolventi di Banca Marche e dei loro complici nel dissesto dell’istituto, nomi mai smentiti; e poche settimane fa, sui giornali del Friuli Venezia Giulia, Sono state pubblicate le liste dei primi debitori insolventi di altre banche in crisi. Ho letto altresì, con piacere, che il presidente della Commissione parlamentare di inchiesta suI dissesto dI banche, il senatore Casini, ha chiesto ufficialmente gli elenchi dei debitori insolventi delle due banche venete delle quali lo stesso organismo si sta occupando in questi giorni. Certo, quando si vedrà il quadro completo di tutte queste vicende si capirà meglio se ci sono stati complicità’ e quali responsabilità dovranno essere accertate dalla magistratura e dalla Commissione parlamentare d’inchiesta».
Non la preoccupa, però, lo scontro che sta emergendo proprio in Commissione di inchiesta fra Bankitalia e Consob sul presunto mancato controllo degli organismi preposti alla vigilanza?
«Sono molto rispettoso dei ruoli sia delle autorità’ di vigilanza e garanzia sia della commissione di inchiesta: attendo di vedere i chiarimenti per esprimere una valutazione».
I nodi, in ogni caso, stanno venendo al pettine, nell’interesse delle banche e anche dei contribuenti traditi. La sua richiesta, insomma, era più che opportuna.
«Era ineludibile che ci fossero dei colpevoli: con una crisi bancaria come quella vissuta in questi anni bisogna investigare a 360 gradi. Non solo la crisi economica che pesato tantissimo, ma occorre verificare se i conflitti di interesse potevano diventare convergenze di interesse, finendo per colpire i singoli istituti coinvolti».
Ma lei, presidente se la sente di dire adesso che il clima di fiducia nei confronti del sistema bancario, dopo avere toccato i picchi più bassi della storia del Paese sta finalmente risalendo?
«È sbagliato parlare di sistema bancario perché come in ogni altro settore merceologico la fiducia non può che essere differenziata da caso a caso. Le banche sono diverse le une dalle altre e i consumatori premiano chi offre loro le migliori garanzie. Quindi non si può dare un giudizio su un comparto che si differenzia da istituto a istituto. Del resto le banche sane, che sono la stragrande maggioranza, hanno pagato tantissimo la crisi, garantendo con le loro risorse l’attuazione delle soluzioni individuate per salvare le banche fallite. Non è stato solo lo Stato a salvare le banche».
Ma quante sono le banche andate in crisi?
«Undici: Teramo, Banca Marche, Carichieti, Banca Etruria e Cassa di risparmio di Ferrara, Mps, le due banche venete, le Casse di Cesena, Rimini e San Miniato: un numero circoscritto, come si vede. Le banche sane hanno dovute svenarsi. Teramo è stata salvata con il Fondo interbancario di tutela dei depositi e lo stesso Fondo ha dovuto sobbarcarsi anche il rimborso forfettario dell’80 per cento di coloro che avevano fatto domanda di risarcimento per i subordinati delle quattro banche coinvolte nella prima fase della crisi. L’unica banca di cui lo Stato si è fatto completamente carico è stata Mps. Per tutte le altre, comprese le due banche venete, sono state varate delle norme di legge che impongono al fondo interbancario il rimborso degli obbligazionisti. Io che sono presidente dell’Abi e dunque totalmente estraneo non solo alle crisi dei singoli istituti bancari ma anche a qualsiasi modalità di intervento nelle loro vicende, mi sento moralmente parte lesa e parte civile nei confronti dei responsabili. E quando parlo dei responsabili mi riferisco a chi è stato o sarà ritenuto tale dai magistrati». 
La riconferma del governatore di Banca d’Italia, Ignazio Visco, è stata messa in discussione come lei sa dal partito di maggioranza relativa, che peraltro sostiene anche il governo. Che idea si è fatta di questa vicenda?
«Sono stato muto prima, durante e dopo perché non sono abituato ad esprimermi sulla nomina delle autorità di garanzia. Oggi, per combinazione, fanno tre anni esatti da quel 4 novembre 2014 da quando la vigilanza ha iniziato ad avere molti cambiamenti essendo diventata Vigilanza unica europea. Per questo bisogna stare attenti a non fare dibattiti di eccessivo provincialismo come quelli di quest’ultimo periodo».
Le ultime statistiche dicono che le banche sembrano però ancora premiare nell’erogazione dei mutui le grandi e medie imprese e non le piccole, lei lo conferma?
«No, perché la media delle statistiche non tiene conto del merito di credito e della solidità patrimoniale dei richiedenti che può essere diversa a prescindere dalle dimensioni dell’azienda. La verità, come ho avuto già modo di dire più volte, e’ che il capitalismo italiano è alle prese da anni con un profondo cambiamento. È diventato esclusivamente privato e con la recessione la sua gracilità è emersa in tutta la sua evidenza. Per riconquistare fiducia e capacità questo capitalismo ha bisogno di anni».
Ma allora l’Italia è fuori dalla crisi o no?
«Sono stato tra quelli che ha anticipato la ripresa quando ben pochi ci credevano, avendo le banche il polso dell’economia reale, colgono prima di statistiche tardive l’evoluzione del sistema. Non siamo certamente al boom degli anni cinquanta ma nelle condizioni per irrobustire la ripresa anche se, ripeto, il capitalismo italiano, non è ancora strutturalmente trasformato. Mi piace sottolineare che segnali positivi stanno arrivando anche dal Mezzogiorno, o meglio dai Sud che si diversificano all’interno della macro area per vivacità produttiva ed economica. Ma lo stesso si può dire a proposito del Settentrione: anche lì ci sono più Nord, anche lì le performance di città in grande sviluppo come Milano non sono dovunque».
La polemica relativa alle decisioni della Bce e alla stretta ulteriore annunciata da Francoforte sulle banche e sui titoli tossici da esse custoditi. Il vice presidente Constancio ha aperto un varco sottolineando che le nuove misure non Saranno retroattive: che ne pensa?
«La mancata retroattività è sicuramente una buona notizia, così come va apprezzata l’apertura mostrata dalla Bce. Di sicuro la consultazione andrà avanti fino all’8 dicembre ma posso anticipare che le banche sono molto attive: sono in via di definizione ben due documenti uno della Federazione bancaria europea E uno nostro con i quali avanzeremo,altre proposte a Bruxelles. Mi faccia però esprimere l’orgoglio per quanto hanno fatto le banche a proposito della riduzione degli Npl. In otto mesi, da gennaio ad agosto, sono stati ridotte le sofferenze di un quarto del totale, se qualcuno me lo avesse detto un anno fa non ci avrei creduto».
Chiudiamo sulla manovra: per una volta non sono arrivate alte tasse anche sulle banche, come spesso vi eravate lamentati...
«È vero, la mancanza di ulteriori tassazioni e soprattutto i segnali di riduzione del debito pubblico a partire dal 2018 sono importanti. Pochi hanno notato ad esempio che lo spread è calato e pochi forse sanno che questo conta moltissimo per la credibilità del nostro Paese all’estero. Chi si aspettava di più da questa legge di bilancio dimentica che non siamo più ai tempi delle vecchie finanziarie, leggi omnibus in cui poteva entrare di tutto. La legge di bilancio ora si occupa solo ed esclusivamente dei conti dello Stato ma è il presupposto fondamentale perché l’Italia torni a crescere a lungo».
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