Carceri, la riforma dispersa:
boom di suicidi nelle celle lager

Carceri, la riforma dispersa: boom di suicidi nelle celle lager
di Francesco Lo Dico
Domenica 19 Novembre 2017, 12:45 - Ultimo agg. 17:03
6 Minuti di Lettura

Il numero 47 si è tolto la vita in una cella di Santa Maria Capua Vetere il mese scorso. Ma Gaetano Della Monica, che numero non si sentiva, ha infilato la testa in una busta e l'ha annodata al tubo del gas del fornellino. Da uomo libero si era guadagnato il nomignolo di re dei falsi matrimoni, ma in carcere ha sposato la morte. Proprio come altri 46 prima di lui da gennaio a oggi stipati in cella, uno sull'altro, come topi su una nave che affonda. Sullo sfondo, attesa da anni, c'è la riforma dell'ordinamento penitenziario approvata dal Parlamento il 23 giugno scorso che affida al governo un'ampia delega. Il ministro Orlando l'ha fortemente voluta e di questo gli va dato atto, ma dopo cinque mesi le bozze dei decreti attuativi non sono ancora sul tavolo del Consiglio dei ministri. Su pressione delle radicali Bernardini e Cianfanelli, in sciopero della fame negli ultimi trenta giorni insieme a 10mila detenuti, si era parlato di fine estate, ma niente. Le ultime bozze dei decreti attuativi sono state trasmesse al Garante dei detenuti proprio l'altro ieri, nelle stesse ore in cui le prime sono state spedite dal Guardasigilli a Palazzo Chigi.

Orlando assicura che la partita sarà chiusa entro il 31 dicembre. Ma una volta approvati dal Consiglio dei ministri, i decreti dovranno passare in uno snervante ping pong alle commissioni giustizia del Senato e della Camera, che a loro volta dovranno esprimere un parere sui provvedimenti, che di nuovo, come in un gioco dell'oca, dovranno tornare tra le mani del governo per l'eventuale approvazione definitiva. E i tempi, visto che si è a fine legislatura, sono davvero risicati.

La barca è ancora in alto mare, insomma, e rischia di finire inghiottita dai marosi di fine legislatura. Un flop epocale. Nata dal lavoro di una commissione di esperti che toccano con mano ogni giorno il dramma carcerario, e presieduta dal penalista Giostra, la riforma va dopo 40 anni di buio (l'ultimo riordino è del '75) nella direzione giusta. Semplifica il ricorso alle misure alternative, elimina automatismi e preclusioni che impediscono a molti l'accesso ai benefici penitenziari, incentiva la giustizia riparativa, e incrementa il lavoro fuori e all'interno dei penitenziari. Prevede modifiche per migliorare l'assistenza sanitaria spesso deficitaria, specie in campo psichiatrico, e nuove misure di sicurezza. Importanti misure sono previste anche per agevolare l'integrazione dei detenuti stranieri, delle donne (le madri in particolare), e politiche, in equilibrio tra una sorveglianza più stretta e maggiore libertà di culto, destinare a tenere sotto controllo il proselitismo e la radicalizzazione dei reclusi di fede islamica. La riforma valorizza poi il volontariato e riconosce il diritto all'affettività. In sintesi restituisce ai detenuti quei diritti negati, che la Costituzione assegna ai detenuti, e spesso hanno reso pura utopia la funzione rieducativa della pena.

Per le nostre carceri sovraffollate, sulle quali di recente è calata anche la scure dell'Onu, un'occasione da non fallire: mentre la politica celebra le sue opprimenti liturgie, nelle cappelle delle carceri continuano a suonare le campane a morto. Dal 1990 a oggi più di 1400 suicidi, di cui 47 solo quest'anno. Più altri ventimila sventati, di cui 1006 solo nel 2016: i numeri dicono che dietro le sbarre si sfiorano i dieci harakiri ogni diecimila detenuti. I comuni cittadini che in Italia si tolgono la vita sono uno ogni 5mila: in carcere la frequenza risulta circa 20 volte superiore. E ci sono poi i casi di autolesionismo: 8.540 casi nel 2016 e 1.262 soltanto nei primi due mesi del 2017.
Tutta colpa della disperazione? Non proprio.

 

Dopo due anni in controtendenza, il rapporto Antigone ha segnalato che la popolazione detenuta è passata dalle 54.912 presenze del 31 ottobre del 2016 alle 57.994 presenze del 31 ottobre 2017, con una crescita di 3.082 detenuti in un anno. Nel semestre compreso tra l'aprile l'ottobre del 2016, la crescita era stata invece di 1.187 detenuti. Se il trend attuale dovesse consolidarsi, alla fine del 2020 si sfonderebbe dunque la soglia record di 67mila detenuti: numeri senza precedenti. A oggi siamo a un tasso di sovraffollamento del 120%, che ci è costato la censura dell'Onu, ma a Como (192%) Latina (196,1%) e Larino (195,3%) si toccano picchi ben più ampi che collocano Puglia (145%) e Lombardia (135%) ai primi posti tra le realtà carcerarie più sovrappopolate. Non va molto meglio in Campania, dove sono detenuti 7278 adulti a fronte di 6136 posti, il che significa che più di migliaio di persone «sono una vicino all'altra e dormono su materassi adagiati a terra», spiega il nuovo garante dei detenuti, Samuele Ciambriello. Troppi carcerati, pochi poliziotti penitenziari: ce ne sono 4100 ma ne mancano 400. «Molti dei problemi che abbiamo in Campania mette a verbale Ciambriello - sono legati proprio a sovraffollamento e mancanza di personale». Problemi come quelli riesplosi di recente a Poggioreale, dove mancano all'appello 200 agenti: ai primi di ottobre un suicidio, nei giorni scorsi un'aspra contesa sorta da motivi di sovraffollamento che ha spinto un detenuto a denunciare alcuni agenti che lo avrebbero picchiato. In un carcere che ospita oggi 2100 persone ma non potrebbe accoglierne più di 1500, l'uomo sarebbe insorto di fronte all'aggiunta di un altro piano sui letti a castello che già ospitavano cinque persone in una cella già strapiena e fatiscente. Agghiacciante anche il bilancio in campo sanitario, dove i detenuti sono stati trattati fino a oggi come cittadini di un altro mondo: i Lea, ossia i Livelli essenziali di assistenza a garanzia della salute sono approdati in carcere solo quest'anno. Il risultato di tanta trascuratezza è nei numeri diffusi dal Simspe, la Società italiana di medicina e sanità penitenziaria: due carcerati su tre, sebbene mediamente giovani, sono malati. E la metà di loro non sa di avere una patologia.
Anche in questo caso, dalla Campania non arrivano buone notizie. I detenuti dice il garante regionale Ciambriello - aspettano dai sei ai dieci mesi per ottenere una visita cardiologica e fino a due anni per un intervento chirurgico, e gran parte di questi ritardi dipendono dalla difficoltà di garantire il personale necessario per l'accompagnamento in ospedale e dalla disponibilità degli specialisti ospedalieri».
Tra celle minuscole, scarsa igiene, e poca assistenza, nelle carceri sono rinchiusi 5mila detenuti positivi all'hiv, 6500 portatori di epatite B e tra i 25 mila e i 35 mila sono positivi all'epatite C. E la situazione degli ammalati psichiatrici, spesso esplode in tutta la sua gravità in casi come quello di Valerio Guerrieri, 22enne con problemi psichiatrici che si è suicidato nello scorso febbraio a Regina Coeli. Aspettava da tempo di essere ricoverato in una rems - le nuove strutture che hanno sostituito gli ospedali psichiatrici giudiziari che a oggi hanno accumulato liste d'attesa da 300 persone - ma nessuno è riuscito a trovargli un posto. Ma la patologia più grave e diffusa di tutte è quella che affligge 20.493 detenuti in attesa in giudizio. Un terzo del popolo carcerario. Uomini e donne nel limbo, innocenti fino a prova contraria, che pagano con il carcere i ritardi di un sistema penale inadeguato che impiega fino a vent'anni per una sentenza definitiva. Ma forse, questo, è un male incurabile.
© RIPRODUZIONE RISERVATA

© RIPRODUZIONE RISERVATA