Codice Antimafia: in pensione gli amministratori giudiziari più esperti a scapito delle specializzazioni e delle professionalità acquisite

di di Maurizio Cinque *
Lunedì 20 Novembre 2017, 15:19
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Con la legge 17 ottobre 2017, n.161, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n.258 del 04.11.2017, sono state approvate, con decorrenza 19.11.2017, modifiche al codice antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n.159.

Dette modifiche sono state rese, nell’intento del legislatore, per emendare ed integrare il Codice Antimafia e dotarlo di maggiore incisività. Tale intento è stato effettivamente raggiunto?

Ad avviso dello scrivente - che, necessita precisarlo, rende la presente disamina nella qualità di amministratore giudiziario - assolutamente non ancora o, certamente, non del tutto.

L’Associazione Libera ha affermato che la legge di modifica ha raccolto gran parte delle proposte e delle richieste di chi opera quotidianamente nella lotta alla criminalità, dei giudici della prevenzione, dei P.M. delle DDA, delle Forze dell’Ordine, di tutti i magistrati che svolgono le indagini preliminari e degli investigatori che attendono a quelle patrimoniali.

Peccato che Libera non si sia avveduta del mancato accoglimento delle istanze e dei pareri di quelli (amministratori giudiziari) che lavorano, o quantomeno hanno ad oggi operato, per non disperdere i patrimoni sequestrati nel pieno rispetto delle condizioni legislative atte per addivenire poi, salvo revoche disposte dall’Autorità Giudiziaria, all’effettiva restituzione alla collettività di tutti i patrimoni sottratti alle mafie.

Grave è stato il miopismo di Libera con cui, in questi anni, gli amministratori giudiziari sono pur stati in sintonia per una effettiva confisca definitiva dei beni ablati.

Prima di tornare su tale aspetto (amministratori giudiziari) non può, certo, non dirsi, seppur in via generale, di alcune delle modifiche più significative apportate dalla legge in vigore dal 19.11.2017 che, obiettivamente, contiene alcune novità rilevanti.

Occorre, pertanto, riconoscere che è stata ampliata la platea dei soggetti destinatari delle misure di prevenzione, sia personali che patrimoniali, pur se sul punto, giuristi di spessore hanno osservato che tale modifica è inutile e dannosa, ingenera il clima del sospetto ed introduce un’ennesima forma di confisca in un panorama giuridico sufficientemente confuso oltre che già dotato di molti altri strumenti atti a privare del profitto il corruttore o il corrotto.
Tanto, per non dire della possibile incostituzionalità della modifica, da più parti già evidenziata.
E’ stata prevista la trattazione prioritaria del procedimento di prevenzione e la competenza all’adozione delle relative “misure” da parte del tribunale del distretto e non più anche di quelli del capoluogo di provincia.
In conseguenza di tanto, è prevista l’istituzione in sede distrettuale di sezioni o collegi giudicanti ad hoc.
E’ stata introdotta la misura del controllo giudiziario dell’azienda ed una rivisitazione dell’amministrazione giudiziaria e, in questa, sono state rese norme più incisive per la liberazione degli immobili sequestrati (pur già esistenti nella precedente formulazione).

Sono state previste, con delega al Governo, forme di sostegno per la ripresa e la continuità produttiva delle aziende sequestrate ed una diversa tutela dei lavoratori nonché meccanismi per l’emersione del lavoro irregolare (compito già adempiuto da sempre dagli amministratori giudiziari più esperti) con possibilità di accedere all’integrazione salariale ed agli ammortizzatori sociali.

E’ stata emendata la disciplina sui diritti dei terzi in buona fede e normativamente prevista l’estensione, alla cd. confisca allargata, delle norme sulla confisca di prevenzione.

Sono, poi, state varate nuove norme per garantire la trasparenza nella scelta degli amministratori giudiziari, con rotazione degli incarichi e divieto di cumulo e rese nuove disposizioni per potenziare l’Agenzia Nazionale Beni Sequestrati e Confiscati.

Diverse organizzazioni sindacali dell’associazionismo e della cooperazione, fautrici della campagna nazionale “io riattivo il lavoro” finalizzata a promuovere una legge di iniziativa popolare, hanno accolto la riforma, oltre che come importante atto di responsabilità politica, quale importante passo migliorativo nell’azione di prevenzione e contrasto alle mafie ed alla corruzione.

Il Presidente della Commissione Parlamentare Antimafia - cui va riconosciuta grande coerenza e determinazione - avvenuta l’approvazione della novella, ha evidenziato come sia stato fatto un “regalo al paese” e come, per altro, la legge approvata non necessiti di eventuali ulteriori correttivi.

Solo il tempo potrà confermare la bontà di tali dichiarazioni fatte sicuramente in buona fede.
Con certezza, comunque, si può affermare che certo non un regalo sia stato fatto agli amministratori giudiziari e, di riflesso, all’ablazione patrimoniale ed alla destinazione dei beni da restituire alla collettività.

La modifica dell’art.35 del Codice Antimafia è, per quanto parzialmente, inaccettabile, inammissibile e lesiva della dignità di tanti amministratori giudiziari, da anni in campo a profondere, con ultraventennale specializzazione conseguitane, rarissima e preziosa professionalità.

L’impatto giustizialista che, con critico populismo, il Parlamento ha voluto ostentare per i “fatti di Palermo”, indebolirà l’azione di contrasto ai patrimoni illeciti ed ingenererà maggiori criticità ai beni da restituire alla collettività, con dannosi ritardi.

Alla luce della incredibile vicenda “Saguto”, dal nome dell’ex presidente della sezione misure di prevenzione del tribunale di Palermo in essa coinvolta, il nuovo codice prevede una sostanziale modifica per come nominare e scegliere l’amministratore giudiziario.

Affermata la possibilità (co.1 art. cit.) di nomine plurime di amministratori, la riforma più sostanziale attiene al comma 2 dell’art.35.

Viene cosi disposto l’obbligo di scelta dell’amministratore a nominarsi da effettuarsi solo tra coloro iscritti nell’Albo Nazionale, ma con la debita valutazione da parte del Giudice di “criteri di trasparenza che assicurino la rotazione degli incarichi tra gli iscritti, tenuto conto della natura dei beni, delle caratteristiche dell’attività aziendale da proseguire e delle specifiche competenze connesse alla gestione”.

Fin qui, nulla da eccepire.
Viene, però, affermata la necessaria valutazione, per la scelta dell’amministratore giudiziario, oltre che dei coadiutori, di ulteriori criteri da dettagliarsi dal Ministro della Giustizia e di concerto con quello dell’Interno e dello Sviluppo Economico, che tengano conto del numero degli incarichi aziendali in corso, comunque non superiore a tre, fermo restando che potrà essere previsto il divieto assoluto di cumulo alla luce della particolare complessità dell’amministrazione o dell’eccezionalità del valore del patrimonio di quelli già in carico, nonché del numero dei lavoratori riferito ai compendi da amministrare.

Così come avvenuto per la pubblicazione dell’Albo Nazionale, occorrerà nuovamente attendere anni per ottenere il programmato decreto di attuazione?
Le statuizioni riferite (non più di tre incarichi aziendali in corso; divieto di cumulo già ricorrendo la nomina di un solo incarico di particolare complessità e rilevanza) appaiono ingiuste, frutto di un accanimento ideologico contro la figura dell’amministratore giudiziario mai giustamente considerato, come se fosse nell’iter di un’amministrazione giudiziaria completamente invisibile.

Per quanto sconcerto abbiano destato nell’opinione pubblica, oltre che nello scrivente, i fatti di Palermo, ciò nonostante la disposizione sopra presa in esame appare di facciata e frutto di un compromesso a danno degli amministratori giudiziari ed a scapito della destinazione dei beni.

L’Italia è un paese di giuristi di elevato spessore tant’è che le norme del primo codice antimafia, così come quella del testo novellato, sono frutto dell’elaborazione prassiologica provenuta da operatori del diritto quali giudici, professori universitari ed anche avvocati.

Purtroppo, però, alle nuove leggi se ne susseguono con straordinaria ravvicinatezza ulteriori senza che si sia tentato di dare effettiva e piena attuazione alle prime (lotta alla corruzione, immediata liberazione degli immobili sequestrati, ecc.).

La politica non vuol capire che c’è bisogno di tempo perché le norme nuove siano effettivamente applicate, oltre che perché diventino produttive.

Se fa sorridere il divieto di dispensare incarichi da parte del giudice a commensali abituali, fa invece rabbrividire il numero non superiore a tre degli stessi disposto dal legislatore della riforma.
Sull’argomento, poi, non si dettaglia se il riferimento è fatto a procedure (che potrebbero oggettivare sequestri di più aziende, sovente superiori a tre) o a singoli compendi aziendali.

Qui dovrà soccorrere, al criptico legislatore, solo il lavoro attento e preciso di “interpretazione” da parte del Giudice.
In tale opera esegetica, non infondata apparirebbe quella che interpreti il rispetto della limitazione dei tre incarichi aziendali solo dal 19.11.2017, data di entrata in vigore della riforma, con salvezza degli incarichi già in corso a quella data.

Il legislatore, poi, ha ignorato che spesso molte delle aziende attinte in un provvedimento di sequestro non vengono rinvenute in fase di esecuzione perché già cessate, sciolte e, a volte, già fallite: parlare, pertanto, di incarichi “non superiori a tre” può, quantomeno nei primi sei mesi dall’avvenuta esecuzione di un sequestro, essere fuorviante e svilente.

In un momento storico ove sono richieste elevate specializzazioni, l’incarico numerico 
così circoscritto impedisce di poter ricorrere a quegli amministratori giudiziari più esperti e validi che, nel corso di decenni, hanno svolto e continuano a svolgere tale tipo di attività con merito e capacità, oltre che avendo strutturato i propri studi, per le gestioni giudiziarie, in modo altamente professionale.

La modifica, così come resa, manda letteralmente in pensione gli amministratori giudiziari esperti e specializzati atteso che la norma ricomprende nel novero dei “tre incarichi” anche quelli provenuti e provenienti dall’Agenzia.
Quest’ultima, poi, già finita in affanno alla luce delle competenze traslatele dall’art.38 codice antimafia ante riforma (competenza a gestire le amministrazioni di aziende già dopo la sola confisca di primo grado) si troverà ben presto priva di validi coadiutori perché molti, ove si ritenesse applicabile retroattivamente la modifica del limite di tre incarichi aziendali, si dimetteranno (per conseguire, ove non già saturi di nomine, qualche ultimo incarico giudiziario) ed altri non accetteranno di continuare (per non incrementare il proprio carico di mandati, atteso l’attuale defatigante e contorto funzionamento della riferita Struttura Amministrativa).

Ora, se è pur vero che la legge di riforma ha tentato di potenziare l’Agenzia, le modifiche rese non appaiono sufficienti né in grado di risolvere tutte le criticità ad oggi emerse.

Riconoscerle competenza alla gestione attiva prima della definitività della confisca, per quanto solo dopo quella di secondo grado, così come aver previsto la soppressione delle sedi secondarie e non aver sufficientemente aumentato il numero dei propri dipendenti (quello previsto dalla legge di riforma è ancora esiguo), appare illusorio rimedio.

Non possiamo nasconderci che solo un’oculata, rituale, incisiva e legale amministrazione dei beni può epurarli da quelle criticità che, invero, potrebbero impedirne, in fase di confisca definitiva, una più rapida destinazione ad opera dell’Agenzia Nazionale Beni Sequestrati e Confiscati.

Gli amministratori giudiziari a nominarsi - recita la riforma - devono essere scelti tra quelli iscritti nell’Albo Nazionale e per gli incarichi aziendali tra coloro inseriti nella speciale sezione di esperti aziendali.
In detta sezione, però, possono trovare ammissione solo quelli con maturata esperienza aziendale diretta e non di mera coadiuzione: non ricorrendone tali presupposti, gli aspiranti hanno oggi trovato sistemazione nella sola sezione ordinaria (amministrazione di beni mobili, immobili, ecc.) e mai potranno ricevere l’incarico di amministratore giudiziario di aziende.

E allora? Per evitare che il cane si morda la coda, come si potrà fare?
Il legislatore non lo dice chiaramente, ma riconosce la possibilità di far ricorso ai dipendenti di Invitalia s.p.a.
Meno male! Era dunque questo l’originario intento?
Non si illuda chi crede che ciò renderà possibile una gestione più rigorosa con criteri più trasparenti!
Non si illuda chi crede che le aziende sequestrate non falliranno più, specialmente quelle che hanno prosperato in virtù del proprio know-how mafioso e che con il sequestro vengono sottratte dal circuito criminale!
Il limite dell’assunzione degli incarichi, a prescindere dall’estensione retroattiva o meno della statuizione, è ingiusto e la norma mal strutturata.

Assurdo è l’aver ricompreso negli stessi anche quelli di promanazione dell’Agenzia Nazionale.
Ancor più assurdo è contarli e non soppesarli: amministrare una grossa azienda, magari pertinente ad una s.p.a., è molto più impegnativo che gestire tre piccole ditte individuali a conduzione familiare.

L’avvenuta introduzione di certi meccanismi, senza un’adeguata preliminare previsione 
prospettica e senza aver consultato i rappresentanti degli amministratori giudiziari, genererà in fase di amministrazione e destinazione dei beni molti più danni di quanti vantaggi si possa aver ritenuto di apportare.

* avvocato, amministratore giudiziario, presidente Associazione Ius et Gestio, componente Comitato Scientifico Fondazione Pol.i.s.
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