Il Presepe napoletano è anche il trionfo della gola

Il Presepe napoletano come teatro gastronomico
Il Presepe napoletano come teatro gastronomico
di Tommaso Esposito
Sabato 23 Dicembre 2017, 13:03
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Furono gli scrittori di lingua tedesca, come Wolfang Goethe, Philipp Josef Von Rehfues, Friederike Brun, Carl August Mayer, giunti nella capitale del Regno tra il finire del 1700 e gran parte del 1800 a cogliere per primi il senso della tradizione del presepe, 'o Presebbio, a Napoli. Descrissero il lavoro degli artisti, che nelle loro botteghe modellavano, allestivano i pastori e vestivano gli angeli. Intravidero la dimensione di un tempo alto, Höher Zeit, dove il sacro e il profano si fondevano, piuttosto che disgiungersi. Narrarono di Pulcinella tra Benino e i Re Magi, che con ”la sua allegria porta via il senso della devozione dei pastori.”
 
 

Colsero lo spaccato di una quotidiana vita cittadina, di una irreale Betlemme in cui pullulavano ciabattini, lavandaie, contadini, venditori di cognole e melloni, acquaioli, pescivendoli, fornai, macellai, castagnari, recottari, ruagnari, sausicciari, padulani, carnecottari. Una Betlemme ricca di osterie e di taverne: tante quante, forse 480, ne aveva la stessa Napoli. Ammirarono sul presepe quello che spesso ci sfugge: il trionfo e dei prodotti della terra e l’ostentazione del cibo. Quarti di manzi, testine di vitello, piedini di porco, salsicce e soppressate, ricotte, caciocavalli, maccheroni e “l’infinita famiglia dei pomi, delle duracine, dei zuccherini, delle giuggiole, dei frumenti, dei legumi, delle farine; e pine, e uve, e poponi, e mandorle, e noci, e castagne, e avellane… Secchi, sucosi, di colori mille. E tanti son che paiono d’acqua stille.” Una grande tavola imbandita, insomma, che lasciava dire ad Henry Lyonnet, uno scrittore francese passato per Napoli all’inizio del Novecento: “qui la vita sociale a Natale è sospesa. I poveri diavoli rassegnati a morir di fame tutto l’anno vogliono mangiare ventiquattro ore di seguito senza interruzione.” Il presepe napoletano oggi può essere visto ancora così: come il più realistico teatro delle specificità e delle identità gastronomiche regionali. Tutte da conoscere e gustare.
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