Napoli, 12enne ferito a Capodanno. Il racconto choc: «Mio nipote Stefano è salvo per miracolo»

Napoli, 12enne ferito a Capodanno. Il racconto choc: «Mio nipote Stefano è salvo per miracolo»
di Mariagiovanna Capone
Martedì 2 Gennaio 2018, 08:34
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«È stata una stesa intimidatoria. Una delle tante sfide che i tre boss del Rione Villa si lanciano da anni tra la gente e i bambini. Stefano è vivo per miracolo, la voglio pronunciare questa frase terribile: poteva morire». Stefano, miracolato della notte di San Silvestro, ha appena dodici anni. Ha iniziato l'anno nuovo nel lettino del Santobono, imbottito di antidolorifici e un ginocchio frantumato dai proiettili di una stesa che non conosce umanità. Sono le 23.30 del 31 dicembre quando si affaccia al balcone al primo piano della casa dei nonni materni a San Giovanni a Teduccio. È in compagnia dei cuginetti Lorenza, 13 anni, Daniele di 9, come il fratellino Fabio, e giocano accendendo le stelline sotto lo sguardo attento del papà e dello zio. Nello stesso edificio anche altri accendono piccoli fuochi e bengala, ci si saluta e augura buon anno da balcone a balcone. Il clima gioioso viene rotto all'improvviso dai rombi di due scooter con cinque uomini a bordo che percorrono a forte velocità il rettilineo di via Sorrento. Indossano passamontagna e caschi integrali, i passeggeri hanno le braccia alzate e impugnano un'arma. Le persone perbene che vivono in questo quartiere hanno imparato a riconoscerli. Neanche il tempo di urlare «tutti dentro, tutti dentro» che si sentono inequivocabili colpi di pistola.
 
 

«Boom, boom, boom... una raffica di colpi. Abbiamo fatto appena in tempo a entrare da una delle porte finestre e i bambini entravano nell'altra. I più piccoli restano indietro, ma davanti a loro Stefano cade a terra sanguinante e urla di dolore». Sono attimi terribili. Si teme il peggio per il dodicenne che vive a Portici con mamma parrucchiera e papà impiegato all'Ansaldo. Il sangue fiotta e solo per un miracolo non c'è stata la rescissione dell'arteria femorale o peggio, abbia raggiunto la testa. «Il proiettile sparato dal basso verso l'alto avrebbe potuto provocare un danno molto più grave, raggiungere organi letali» ammette Carmelo Terracciano, medico del reparto di Chirurgia dell'Ospedale Santobono che ha in cura Stefano. «Il caso ha voluto che il bambino sia stato colpito al ginocchio destro, che ha subito un serio danno, e per rimbalzo o di striscio anche l'altro ginocchio, con lesioni più superficiali. Forse lo dimetteremo domani o al massimo in 3-4 giorni (la prognosi è stata sciolta in mattinata) e potrà ricevere le altre cure in day hospital. Per il piccolo sarà importante recuperare le forze in un ambiente protetto come la propria casa, perché il trauma psicologico emergerà prima o poi». Forse dovrà appendere le scarpette da calcio al chiodo, perché il danno è grave e l'attività agonistica non potrà riprenderla presto.

 

Stefano, circondato dalla mamma che non l'ha lasciato neanche per un secondo, dai nonni, dagli zii e i cugini, per ora non mostra di aver subito uno shock. «Non vorrei che pistole, violenza e stese siano diventati per lui, come per altri, un'abitudine. Un bambino non può abituarsi mai a un fatto del genere. Sono più portato a pensare a un processo di rimozione o di non completa consapevolezza». Il cuginetto Daniele è andato a trovarlo e ha gli occhi lucidi. Non riesce a guardare la grande ferita circolare sul ginocchio destro. È troppo piccolo per darsi una spiegazione razionale a quella che anche gli adulti considerano «una follia», e nei suoi silenzi si avverte tutto il peso di una guerra di camorra che sovrasta i bambini. «Dieci giorni fa c'è stata un'altra stesa. La nonna di Stefano per poco non è stata centrata da un proiettile. E prima ancora un'altra, e un'altra ancora... Il Rione Villa è al centro di una guerra tra tre famiglie e in mezzo ci siamo noi, persone oneste che lavoriamo e ci guadagniamo il pane onestamente» racconta un testimone oculare della vicenda. «Ci siamo scocciati di vivere in questo stato di guerra. Il papà l'ha detto subito alle forze dell'ordine che si è trattata di una stesa e non erano festeggiamenti sconsiderati. Luoghi dove spareranno di nuovo ancora e ancora, ancora... Lo Stato che fa?». Rabbia, frustrazione. Sono i sentimenti che chiunque viva nei quartieri a rischio criminalità sente sulla propria pelle, con l'ingombrante marchio camorra che non vuole sparire. «Vogliamo più controlli, più presenza delle forze dell'ordine. Abbiamo figli che crescono tra i proiettili e mi chiedo anche perché le istituzioni non creino maggiori presidi di legalità su questi territori che notoriamente sono inquinati dalla criminalità. Ci sentiamo abbandonati a noi stessi, dimenticati, a loro non importa di noi. Ci lasciano crepare magari mentre siamo affacciati al balcone e accendiamo una stellina luminosa con cui augurarci un anno buono che invece non verrà neanche stavolta».
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