Cancro, lo scienziato Iavarone insiste:
«Terapie, il Sud è ancora indietro»

Cancro, lo scienziato Iavarone insiste: «Terapie, il Sud è ancora indietro»
di Marco Esposito
Sabato 6 Gennaio 2018, 12:49 - Ultimo agg. 7 Gennaio, 11:08
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«Sono deluso. I miei colleghi medici banalizzano quel che ho detto nell'intervista al Mattino. E intanto al Sud si muore». La breve trasferta italiana di Antonio Iavarone è finita. Resta la grande soddisfazione di vedere il 3 gennaio la pubblicazione sulla rivista Nature dei risultati della sua ricerca per togliere energia a un tipo specifico di cellula tumorale. Ma anche un po' di scoramento. «Sono appena arrivato a New York dopo un viaggio lunghissimo - racconta - ci hanno fatto fare scalo a Montreal. Accendo il telefonino e trovo duecento mail, forse trecento, di persone disperate che cercano e mi chiedono una cura contro il cancro. Purtroppo me l'aspettavo, lo capisco. Anche se mi fa male perché quando rilascio un'intervista al Wall Street Journal sui passi avanti delle nostre ricerche contro il cancro non accade la stessa cosa. Negli Usa è chiara la distinzione tra chi fa ricerca e chi fa terapia. In Italia no. Io non curo le persone. Cerco di capire come bloccare i tumori con prove di laboratorio che stanno dando risultati importanti e che potrebbero trasformarsi in cure. Nella scienza funziona così, non sono un Vannoni qualunque», si sfoga. Non basta ad attenuare l'amarezza qualche sfizio inaspettato, come aver assistito allo stadio alla prima vittoria in serie A della squadra della sua città, il Benevento.

Non è la pressione delle persone che vivono l'angoscia del tumore ad amareggiare lo scienziato sannita. «Quel che mi delude di più - sottolinea in una telefonata intercontinentale - è la banalizzazione di quello che dico da parte dei medici delle strutture nazionali. Non ho mai detto che al Nord trattano peggio i malati del Sud per una forma di subdolo razzismo, ho sottolineato che ci sono terapie innovative che richiedono la presenza costante del paziente per lunghi periodi e questa presenza le persone che si curano fuori sede non possono garantirla. Non ho mai messo in dubbio che le strutture del Nord Italia cerchino di fare il meglio per i loro pazienti, qualunque sia la loro residenza, figuriamoci. Però quando ai centri del Nord arriva un paziente dal Mezzogiorno o da qualunque altra zona del mondo in fase avanzata e senza alcuna analisi genetica fatta sul tumore, ovviamente non sarà possibile usare alcun protocollo personalizzato. Questo è solo uno dei tanti esempi che si potrebbero fare».

Iavarone batte soprattutto su un tasto: creare strutture in grado di congelare i tumori a 70 gradi sotto zero in modo da poter avviare quando possibile le analisi genetiche. «Al Sud questo non viene quasi mai fatto perché mancano le banche dei tumori», insiste il professore della Columbia University. «Lo so che le terapie iniziate in un ospedale del Nord vengono proseguite al Sud, ma sono le terapie standard, la chemio, non le azioni più innovative, che sono anche le più complicate. Mi fa male vedere che non c'è alcuna risposta sulla necessità di dotare tutta l'Italia di un sistema d'avanguardia nelle cure. Basta dire che al Sud siamo bravi. È vero, ci sono eccellenze. Ma dobbiamo avere progetti transformative. Innovativi, rivoluzionari, direi in italiano. Se non iniziamo almeno a congelare i tumori asportati, non potremo mai analizzare le alterazioni genetiche e - se quei tumori si ripresenteranno con una recidiva - non daremo la risposta farmacologica adeguata. Dobbiamo creare la banca dati, altrimenti non ci sarà alcuna terapia personalizzata possibile».

 
Una prima risposta arriva da Enrico Coscioni, responsabile sanità della Campania e diretto collaboratore del presidente Vincenzo De Luca: «Parliamone - dice al Mattino - io personalmente non sono un esperto del campo della genetica e quindi mi documenterò. Ma lo sforzo della Regione e del presidente De Luca è di dare ai chi si cura in Campania le migliori risposte possibili. Intanto migliorando l'organizzazione e l'accoglienza. La rete oncologica regionale con il Pascale come hub è un importante passo avanti perché ci consente di mettere in rete le eccellenza che ci sono e che sono riconosciute. E le collaborazioni dall'estero sono le benvenute».

Iavarone coglie l'occasione e puntualizza: «Lancio una proposta alle istituzioni pubbliche, alle Regioni del Sud: collaborate tra voi, fate partire un progetto di ricerca genetica nel Mezzogiorno, un Human Technopole Sud. Il meridione deve avere il coraggio di mettere in campo progetti ambiziosi come questo. Le cure migliori possono solo derivare dalla ricerca più avanzata fatta in grandi hub di ricerca che forniscono le migliori terapie possibili ai pazienti che vivono in quei territori e che diventano anche poli di attrazione internazionale per i migliori medici e scienziati. Questo è quello di cui il Sud ha veramente bisogno. Per noi della Columbia University il centro di riferimento per il tumore al cervello è il Besta a Milano, cui peraltro invio tutti i malati italiani con tumori al cervello. Con il Besta speriamo di far partire quanto prima la sperimentazione personalizzata contro la fusione di geni FGFR3-TACC3 che provoca il 3% dei tumori, di tutti i tumori non solo del glioblastoma. Nei confronti del gene maligno quale stiamo mettendo a punto una terapia. Da meridionale che vive da vent'anni all'estero e che ha a cuore la propria terra chiedo: possiamo avviare una collaborazione simile a quella con il Besta nel Sud Italia?»
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