Un mondo a misura di bambino: le analisi del Libro Bianco Media e Minori 2.0 e la sfida educativa del Pan Kids

Un mondo a misura di bambino: le analisi del Libro Bianco Media e Minori 2.0 e la sfida educativa del Pan Kids
di Donatella Trotta
Giovedì 18 Gennaio 2018, 21:13
7 Minuti di Lettura
L’ondata dilagante di violenza minorile che sta tracimando dalle cronache quotidiane degli ultimi tempi induce ad una riflessione più ampia e ormai ineludibile sulle cause di una barbarie, per certi versi, ampiamente annunciata da tempo: perché annidata nelle pieghe di una povertà educativa da più parti denunciata, ma - finora - senza grande ascolto e reazione collettiva. Per dirla con le parole dei ricercatori dell’ultimo «Libro Bianco Media e Minori 2.0», denso Rapporto ora promosso - dopo una prima ricerca del 2013 - dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (AgCom) e presentato nei giorni scorsi a Roma in una densa mattinata di confronto tra stakeholder, psicologi e giuristi a Montecitorio, «i media costituiscono sempre più l’ambiente che orienta i processi di socializzazione e di costruzione della realtà sociale, incidendo sulla capacità dell’essere umano di interagire con il mondo circostante» (così Roger Silverston in Perché studiare i media?, Il Mulino); ma «in realtà la rivoluzione digitale ci ha colto impreparati: la velocità dei cambiamenti indotti dalla tecnologia e la complessità del nuovo assetto mediale sono tali che i ricercatori, il legislatore e i regolatori spesso stentano ad orientarsi nei nuovi scenari, e faticano ad individuare strumenti efficaci per garantire soglie idonee di tutela».

Di qui l’idea progettuale in progress di una ricerca interdisciplinare (consultabile on line, sul sito www.agcom.it) che diventa uno strumento molto utile per affrontare (e non solo entro un preciso quadro normativo e di aggiornati orientamenti scientifici, italiani e internazionali) una materia “eticamente sensibile”, ossia la protezione dei minori nella comunicazione: strettamente connessa con l’alfabetizzazione mediatica (ma anche con i cambiamenti identitari e i comportamenti relazionali e sociali) dei cosiddetti “nativi digitali”. I quali – ma lo ricordiamo solo a titolo orientativo – a 7 anni già hanno il proprio smartphone; per il 70% della popolazione italiana tra i 6 e gli 8 anni già navigano con disinvoltura (e ben scarso controllo adulto) con il tablet, magari dei genitori (usato anche prima: dai tre anni in poi); mentre il 73% elude allegramente il filtro del “parental control” applicato a programmi tv non idonei ai minorenni. Non solo. Questi bambini e ragazzi perennemente connessi, apparentemente ultrasocializzati ma - di fatto - soli e affettivamente, sentimentalmente analfabeti, incarnano, secondo Angela Nava Mambretti, presidente del Consiglio Nazionale degli Utenti (CNU) dell’AgCom, «un cambiamento epocale di ruolo». Sia dei genitori, che da soli non ce la fanno più a gestire la responsabilità educativa, sia da parte dei minorenni stessi: «non più solo fruitori – sintetizza Nava -, ma costruttori di contenuti secondo una logica non più di “aut-aut” ma di “et-et”», che pone nuovi problemi (di democrazia, di monopolio) anche al – fortunatamente – da poco rinato Comitato Media e Minori.

Perché, come sottolinea Mirzia Bianca, giurista specialista dei diritto dei minori, questi nativi digitali sono forse «consapevoli degli strumenti che usano, ma inconsapevoli delle conseguenze»: soprattutto in un web che «solo per il 6% è in chiaro, il resto è dark e deep web», incalza Carlo Solimene, Primo Dirigente della Polizia Postale e delle Comunicazioni, responsabile del settore investigativo. Il quale, illustrando i dati di una ricerca in house (Polizia Postale-Università La Sapienza), sintetizza: «I minori non percepiscono i comportamenti vessatori; ritengono di essere e di restare anonimi; e non si rendono conto della gravità dei comportamenti leciti e illeciti». Con tutte le conseguenze del caso: e non soltanto sul piano più superficiale dei “discorsi di odio” (hate speech) ma anche su quello, conseguente e più grave, di veri e propri reati, ormai all’ordine del giorno e sotto gli occhi di tutti. A Napoli e altrove.

Ecco perché, in tempi di disintermediazione digitale, «è urgente e necessario, per la questione irrisolta della coesione sociale e della rigenerazione urbana, approfondire radicalmente l’orizzonte dei “minori” (ma “maggiori” nell’uso delle tecnologie)», commenta Mario Morcellini,  studioso e docente di comunicazione, giornalismo e reti digitali, Commissario AgCom. «Chiedendoci, innanzitutto, che tipo di generazione stiamo costruendo – aggiunge Morcellini - con la nostra ossessione del presente; che tipo di effetti stiamo prefigurando che possono sfuggirci di mano; e quali passi concreti, dove e come, fare: per fronteggiare una trasformazione antropologica (con effetti a medio e lungo termine) che ci pone di fronte a nuove dinamiche di interazione comunicativa (con un giornalismo che non può più limitarsi a narrare senza approfondire), a un nuovo profilo del rapporto tra soggetti e testi, a una modificazione delle identità e del rapporto tra generazioni, a un indebolimento della formazione nell’eccesso di comunicazione». Già. Non a caso Angelo Marcello Cardani, presidente AgCom, parla di «necessità di bilanciamento tra i rischi di un uso improprio del web e le opportunità di apprendimento e ampliamento di interessi, con uno sforzo collettivo pluri-interdisciplinare che rinsaldi un patto educativo verificando, anche, le buone pratiche in atto nel Paese».

Una di queste parte proprio da Napoli: la città scenario, di recente, di brutali e ripetute aggressioni di branchi di minorenni a danno di coetanei inermi. Ed è una buona pratica contro corrente, che parte appunto dai più piccoli: bambini e adolescenti (con i loro educatori e le loro famiglie), principali destinatari di un progetto che si chiama non a caso PANkids e rilancia, con una rete di una ventina di associazioni educative, una precedente sperimentazione avviata già qualche anno fa con cinque realtà territoriali, specializzate nella didattica dell’arte, del fumetto e dell’illustrazione, nella promozione della lettura e della civiltà dell’infanzia, nell’uso del colore e del riciclo creativo per una cittadinanza attiva “dal basso”. A promuoverlo ora, con un articolato calendario di laboratori educativi ospitati, dal 22 gennaio, dal PAN (Palazzo delle Arti di Napoli, in Via dei Mille 60: il programma con i diversi moduli formativi e contatti dei diversi referenti è consultabile sul sito www.comune.napoli.it nella sezione «Ultime notizie: PANkids, “vivere la città”»), l’Assessorato alla Cultura del Comune di Napoli, guidato da Nino Daniele.
Il quale, nella presentazione in Sala Giunta di Palazzo San Giacomo, sottolinea: «Il progetto è un messaggio forte e di particolare attualità, in tempi di baby gang, improvvisazioni e mistificazioni interpretative sulla loro eziologia e temeraria, arrogante impudenza delle logiche di potere del mercato e della tecnologia a danno della educazione, in un momento in cui la formazione scolastica si restringe a programmi di competenze e mere applicazioni di lavoro che escludono l’interiorità, i sentimenti e le relazioni autentiche». PANkids, invece, vuole essere «la Casa delle Associazioni Educative della Città  che operano liberamente e in armonia – continua Daniele – per una alleanza dei saperi e dei legami tra generazioni e generi differenti, tra l’infanzia e la storia: ovvero un progetto educativo di cura della persona e dei legami sociali per una Città dei sentimenti, in diretta comunicazione con scuole, educative territoriali e centri sociali, all’opera per una comunità educante in una società comune». 

In quest’ottica, aggiunge l’assessore comunale alla Cultura, il progetto «costituisce anche un modello di sinergia: in collaborazione con l’Assessorato all’Istruzione, il coinvolgimento di una rete di venti associazioni selezionate con un procedimento di evidenza pubblica e il sostegno di un main sponsor come Volare, srl composta da una rete di 18 imprenditori consapevoli che immettere cultura nella vita della città è un modo lungimirante di fare impresa». ll Palazzo delle Arti di Napoli, insomma, si apre all'infanzia e all’adolescenza e l’Assessorato alla Cultura e al Turismo di Napoli aggiunge, all’ordinaria programmazione del PAN, un’attività didattica e ludica «utile a generare dialogo e pensiero, un cantiere in cui l’arte e la creatività giocano un ruolo educativo e di emancipazione sociale. Alle sale di esposizione di opere d’arte – conclude Daniele - il PAN aggiunge le stanze dell’Arte in Opera, spazi creativi per azioni formative di una Città senza confini di rioni e quartieri, senza più periferie». Lo ribadiscono anche Giulio Cacciapuoti e Francesco Mele, rispettivamente amministratore delegato e presidente del CdA di Volare srl che ha prodotto la manifestazione Il Piccolo Regno Incantato, «in sintonia d’intenti con l’attenzione all’infanzia». E lo sottolinea, con forza, il filosofo Giuseppe Ferraro, docente universitario, scrittore e portavoce della rete di associazioni educative parte del PANkids: «Nell’attuale situazione di preoccupazione, più che di “emergenza”, restituire ai sentimenti le loro parole e non le loro paure è indispensabile. Il PAN come centro educativo è simbolo di una città che si fa scuola, laddove la scuola non educa più perché l’educazione ha a che fare con la relazione, con i sentimenti: e la crisi dell’educazione è dunque una crisi dei sentimenti. Il processo formativo si svolge sul piano simbolico, e quanto sta accadendo in città e in Italia è il segno che i ragazzi hanno perso il valore dei simboli, collante sociale in assenza del quale l’energia non canalizzata diventa disperazione. E violenza. Ma i sentimenti non si possono insegnare, si educano: come l’amore. Che non si può insegnare, ma senza amore non si può insegnare».

E “amore” è allora la parola chiave di una sfida che da Napoli vuole reagire alla deriva pedagogica e sociale rilanciando, aggiunge Ferraro, «la formazione come racconto di sé contro la degenerazione di una istruzione divenuta formattazione, svuotata di senso». In che modo? Il cammino si farà andando, sorride Ferraro, ma «continuando a immaginare: siamo oltre la speranza – afferma – perché siamo nell’entusiasmo: parola che contiene, etimologicamente, il sentimento della rivoluzione. E del cambiamento».   
 
 
© RIPRODUZIONE RISERVATA