Delitto Materazzo, la vedova parte civile con le tre sorelle

Delitto Materazzo, la vedova parte civile con le tre sorelle
di Leandro Del Gaudio
Giovedì 8 Febbraio 2018, 09:20 - Ultimo agg. 13:41
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Compito, ossequioso, dimesso. Entra in aula, sbuca dalla gabbia, fa il suo ingresso nel Tribunale di Napoli. Saluta con il capo i suoi legali, fa un cenno con la testa rivolto ai giudici, alle parti, poi resta seduto ad assistere alla formazione della prima udienza del processo a suo carico. Aula 410, gup Alfonso Sabella, Luca Materazzo occupa la scena. Capelli corti, occhiali da vista, look finto casual, in giacca, jeans e scarpette da ginnastica. Tradotto via cellulare da Roma, resta seduto in gabbia una trentina di minuti, giusto il tempo di assistere alle richieste di costituzione di parte civile sostenuta dai suoi più stretti congiunti. È il momento in cui gli passano davanti agli occhi tutti i tormenti della sua vita e, forse, anche della sua dimensione familiare: sorelle, nipoti, cognata che chiedono di essere ammessi tra le parti civili, in vista di un possibile risarcimento del danno. Poi c'è la richiesta di rinviare di una settimana l'udienza, in vista della necessità di scegliere il rito (ordinario o abbreviato), con il quale sarà giudicato nei prossimi mesi.

Eccolo l'imputato. Luca Materazzo è accusato di aver ucciso il fratello Vittorio, l'ingegnere 51enne ucciso il 28 novembre del 2016, sotto la propria abitazione, in viale Maria Cristina di Savoia. Dimesso, rispettoso, il professionista 36enne è accusato di aver inferto oltre 40 coltellate sul corpo del fratello. Lo avrebbe ucciso per accedere all'eredità di famiglia, per sgomberare il campo dai veti contrari del fratello maggiore.
 
Ieri, il primo atto formale del processo. Difesi dai penalisti Arturo ed Enrico Frojo, Elena Grande (vedova di Vittorio) ha chiesto di costituirsi parte civile (anche per conto dei figli della vittima); stessa scelta da parte di tre delle quattro sorelle di Luca e Vittoria (Roberta, Maria Vittoria e Serena), assistite dal penalista napoletano Gennaro Pecoraro. Non si tratta di istanze contro l'imputato, bene chiarirlo, ma dell'esigenza dei componenti di un nucleo familiare di essere presenti in un momento complesso dell'accertamento della verità. Uno snodo formale, necessario ad incardinare il procedimento, mentre l'udienza è stata aggiornata a mercoledì prossimo: sette giorni per consentire il trasferimento dell'imputato in un carcere napoletano, dove avrà la possibilità di leggere le carte depositate dall'accusa e di definire la propria strategia processuale. Difeso dai penalisti Gaetano e Maria Luigia Inserra, Luca Materazzo dovrà prendere contezza della ricostruzione operata in questi mesi dai pm Francesca De Renzis e Luisanna Figliolia (ieri presenti in aula), sotto il coordinamento del procuratore aggiunto Nunzio Fragliasso, alla luce di testimonianze dirette e prove tecniche. Ma su cosa fa leva il processo a carico di Materazzo jr? C'è la prova biologica, legata al profilo genetico isolato dall'arma del delitto, dal casco e dagli indumenti indossati dall'assassino di Vittorio. Stando agli accertamenti compiuti dalla scientifica sul materiale repertato (abbandonato dall'assassino in vico Santa Maria della Neve) c'erano il dna di Luca, quello di Vittorio, ma anche tracce che riconducono a una sorta di «misto» tra i due fratelli. Non ci sarebbe traccia di profili sconosciuti, anche se il dibattito sulla prova genetica attende la valutazione dei giudici. Poi c'è la testimonianza di un barista di via Crispi, che ricorda di aver visto Luca Materazzo pochi minuti dopo il delitto: «Mi chiese di usare il bagno, la toilette, gli diedi le chiavi perché si pose in modo garbato e rispettoso nei miei confronti, insomma si vedeva che era una persona per bene». Ed è lo stesso esercente a ricordare di aver atteso circa una ventina di minuti, prima di decidersi a bussare alla porta del bagno, dove vide il 36enne che cercava di cancellare tracce di sangue con acqua e sapone. Ricostruzioni messe agli atti nel corso delle indagini condotte dalla Mobile del primo dirigente e dal capo della omicidi Mario Grassia, che ora attendono un confronto in aula. Tutto sta ora a decidere con quale rito proseguirà il processo sull'omicidio di Chiaia: a porte chiuse in abbreviato o nel corso di un dibattimento che vedrà sfilare un pezzo di mondo professionale della città? Intanto, ieri mattina, gli alunni dell'istituto Pagano hanno provato ad assistere alla prima udienza, nel corso di un progetto di alternanza scuola-lavoro, ricevendo però il no del gup Sabella, che ha blindato - almeno per momento - il giovane professionista e i fantasmi della sua vita familiare.
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