Gomorra, pizzo al clan per le riprese: indagati tre produttori della fiction

Gomorra, pizzo al clan per le riprese: indagati tre produttori della fiction
di Leandro Del Gaudio
Giovedì 8 Febbraio 2018, 08:40 - Ultimo agg. 12:18
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Ha accolto la richiesta del pm e ha trasmesso gli atti in Procura, in vista della possibile apertura di un fascicolo per falsa testimonianza a carico di tre dirigenti della società di produzione Cattleya. È l'aspetto più rilevante della sentenza pronunciata nel pomeriggio di ieri dal giudice monocratico oplontino Gabriella Ambrosino, al termine del processo sulla presunta tangente versata per girare la prima serie di Gomorra all'interno di una villa sequestrata a un boss locale.

In sintesi, il giudice accoglie la richiesta formulata ieri dal pm e rispedisce gli atti in Procura, alla luce della confessione fatta in extremis due giorni fa dall'imputato principale. Tradotto dal giuridichese, ora il pm dovrà rivalutare la posizione di Maurizio Tini, Riccardo Tozzi e Giovanni Stabilini, tre esponenti di vertice della casa di produzione, per una ipotesi di falsa testimonianza resa proprio nel corso del processo. Ma andiamo con ordine, a partire dalla sentenza. Ieri, una condanna e una assoluzione. Il giudice ha inflitto sei mesi per favoreggiamento personale, pena sospesa, al location manager Gennaro Aquino; ed ha invece assolto il responsabile di produzione Gianluca Arcopinto (difeso dal penalista Cesare Placanica).

Passa la linea dell'accusa, al termine delle indagini coordinate dal pm Maria Benincasa, sotto il coordinamento dell'aggiunto Pierpaolo Filippelli: per il Tribunale Gennaro Aquino è la persona che per conto della produzione ha materialmente consegnato la busta con 5.000 euro alla famiglia Gallo per permettere la registrazione delle scene. Grazie al suo ruolo, appare ora confermato che il primo ciak per la famiglia Savastano, proprio all'interno di una villa sequestrata al boss Francesco Gallo di Torre Annunziata (i cosiddetti «pisielli»), avvenne grazie al via libera del capoclan locale. E così che la prima edizione di Gomorra (anno 2013) decollò grazie alla tangente che sarebbe stata versata nelle mani dei parenti del boss Gallo.


Una sorta di paradosso, se venisse confermato anche nei successivi gradi di giudizio: il via libera per la serie che punta a mostrare al mondo intero la crudeltà di clan e camorristi napoletani sarebbe arrivato proprio da un personaggio detenuto per fatti di camorra, che all'epoca sguinzagliò i suoi parenti per ottenere soldi in cambio di tranquillità. Una tangente a pieno titolo, per giunta imposta su un bene che era sotto il controllo dell'amministrazione giudiziaria, in quanto caduto sotto sequestro nel corso di una indagine antimafia.

Ma chi fu a sborsare quelle cinquemila euro? Lo ha chiarito due giorni fa lo stesso imputato Aquino, che ha confessato, ha ammesso le proprie responsabilità ed è andato anche oltre. Ha tirato in ballo uno dei vertici della produzione romana. E ha ribadito che «tutti sapevano tutto», che «quei soldi certo non li ho sborsati io, ma mi sono stati dati dalla produzione...». Parole che hanno spinto il pm ieri mattina a rivedere le conclusioni e compiere una replica dinanzi al giudice, un ragionamento accolto e assorbito all'interno del dispositivo di sentenza: trasmettere gli atti in Procura, per valutare la possibilità di compiere approfondimenti resi dai tre manager della Cattleya sentiti come testi nel corso del processo. Sembra chiaro il ragionamento del giudice: tra la versione di Aquino e la testimonianza resa in aula da Tini, Tozzi e Stabilini c'è assoluta divergenza. Insomma, tra i due fronti qualcuno mente, qualcuno non la conta giusta.

Intervistato ieri dal Mattino, Riccardo Tozzi è stato chiaro: nessuno in azienda aveva percepito l'esistenza di una richiesta di denaro, né ha sborsato soldi da far girare alla camorra locale, in cambio del via libera alle riprese in quella villa. Nessuno era al corrente di quella busta con migliaia di euro resa al boss Gallo. Anzi. A sentire Tozzi, in tre anni di programmazione, con centinaia di location usate per la fortunata serie di Gomorra, nessun problema è emerso, ovviamente al netto del caso oplontino.

Ora le carte tornano, almeno in parte nell'ufficio guidato dal procuratore Sandro Pennasilico. Vanno riviste le cose alla luce dei vari giudizi firmati in questi anni. Condannato per estorsione Francesco Gallo, proprio perché chiedeva soldi dal carcere per autorizzare le riprese nella sua villa, mentre da ieri viene confermata la tesi del favoreggiamento personale di Aquino, l'uomo del memoriale di accusa. Soddisfazione da parte della difesa di Arcopinto, come spiega l'avvocato Placanica: «Ha dedicato una vita intera per il sociale e per la denuncia contro le mafie, vedersi accostato a ipotesi di collusione con un boss è stato terribile». Intanto, la Cattleya - che in questa vicenda aveva scelto di non costituirsi parte civile - è costretta ad attendere ora gli esiti delle valutazioni ai piani alti della Procura di Torre Annunziata.
 
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