Addio allo storico Galasso: il suo rapporto con Napoli e la sfida agli stereotipi

Addio allo storico Galasso: il suo rapporto con Napoli e la sfida agli stereotipi
di Paolo Macry
Martedì 13 Febbraio 2018, 10:09
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Tutto è sempre nell'ordine delle cose. E tutti lo sappiamo, magari i vecchi lo sanno più dei giovani. E se le aspettano, le cose. Poi però, quando una telefonata ti informa di quel che è successo, ogni prospettiva usuale, qualsivoglia previsione realistica, la pace che ciascuno cerca di stipulare con le ferree leggi della vita, tutto sbiadisce. È successo con la fine di Giuseppe Galasso. Che, malgrado l'età avanzata, appare imprevista, lancinante. Forse perché, per molti, il dolore per la perdita di un amico si mescola alla consapevolezza che qualcosa si chiude, oggi, nella storia di un'intera città. Per questo, probabilmente, siamo qui a sorprenderci. Per un grande lutto cittadino.

Giuseppe Galasso non è stato un napoletano come tanti. E non solo perché a Napoli ha ricoperto importanti ruoli pubblici, consigliere comunale, assessore, uomo di partito, ma perché ha rappresentato, lungo oltre mezzo secolo, la coscienza critica della città, la sua lettura da un punto di vista fedelmente liberale. Non c'è stato momento della vita di Napoli che Galasso non abbia interpretato con le sue lenti, dai tempi remoti del laurismo fino alle montagne russe del Terzo Millennio, alle sindacature di Luigi de Magistris, alla crisi odierna della sinistra cittadina. Ogni volta, da protagonista o da testimone, ha ragionato, partecipato al discorso pubblico, indicato soluzioni. È stata la voce di una politica che oggi sembra in grave difficoltà e che lui ha difeso contro gli ideologismi, la demagogia, il populismo, ma anche contro l'indifferenza e la stanchezza. Testimoniando le posizioni di una minoranza raziocinante che appariva gelosa della propria cultura politica e al tempo stesso cercava nel pragmatismo della governabilità e nella logica della rappresentanza convergenze e compromessi. Un percorso stretto.

Ma poi c'era Napoli di mezzo. E Galasso, dal dopoguerra in poi, ha testimoniato una sintonia senza limiti con quella sua città così straordinariamente contraddittoria, indulgente e crudele. Qui, più che altrove, visse passioni e delusioni. Come quando, nel 1975, sindaco incaricato, dovette arrendersi alle rigidità di un sistema politico monopolizzato dalla Dc e dal Pci. O quando, vent'anni dopo, fu investito dalla tempesta cieca di Tangentopoli e lasciò l'università nella quale era nato. Facile oggi storicizzare. Furono momenti laceranti. Ma nulla riuscì a recidere il nodo che lo teneva stretto a Napoli. Più che un nodo, una mescolanza densa tra ragionamento ed empatia, tra attenzione analitica e amore. E non c'è da aver paura della retorica, non c'è rischio di retorica a ricordare le radici profonde che hanno sempre legato un grande storico a una grande città.

Basti citare quell'Intervista sulla storia di Napoli, raccolta nel 1978 da Percy Allum per i tipi di Laterza, dove Galasso ricuciva da par suo venti secoli di vita cittadina, lui, maestro ineguagliato di sintesi, capace di cogliere linee di continuità invisibili a occhio nudo e di intrecciarle al rigore dei fatti e dei documenti. Ma quell'Intervista non è soltanto una brillante messa a punto della storia della città. È anche l'accorata lettura di un contesto spesso insidiato dalla trappola degli stereotipi e da un'identità culturale debole. «L'importante è che di Napoli non si faccia un feticcio, né come caso disperato, né come fatto di napoletanità», diceva quarant'anni fa. 

 

«La napoletanità è tutta nella storia. Il caso disperato è un comodo luogo comune di evasione dalla responsabilità. Direi che mai come nel caso di Napoli è bene riconoscere alla questione molte radici, molte tendenze di sviluppo, molte potenzialità. E che quindi le risposte e le scelte semplicistiche sono le meno responsabili, le meno coraggiose». Parole che sembrano scritte oggi. A Giuseppe Galasso non mancava il dono della vista lunga.
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