Galasso, funerali in forma laica alla società di Storia Patria

Galasso, funerali in forma laica alla società di Storia Patria
di Titti Marrone
Martedì 13 Febbraio 2018, 10:48 - Ultimo agg. 14 Febbraio, 08:39
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Conforta appena un po', ma è ben magra consolazione, che Giuseppe Galasso se ne sia andato senza soffrire, senza conoscere né l'onta della malattia né il degrado della vecchiaia: due dimensioni incompatibili con la sua essenza di grande esponente della cultura europea e insieme di una nobile napoletanità consapevole di sé. A 88 anni, compiuti il 19 novembre, dopo una vita bellissima, nel pieno delle sue straordinarie energie intellettuali e umane, il grande storico è morto nelle prime ore di ieri nella casa di via Napoli a Pozzuoli tra i suoi libri, i quadri che amava, di fronte al suo mare insolitamente rabbuiato, come consapevole di un addio senza ritorno. Lo ha sopraffatto un malore seguito a un'influenza da cui sembrava guarito, tanto da essere pronto al dibattito sul libro di Andrea Giardina organizzato per oggi al Bellini (e ovviamente cancellato).
 

 

Galasso è stato tante cose: tra i maggiori storici europei autore di opere sull'età medievale e moderna, su Napoli, l'Italia e l'Europa; l'erede intellettuale di Benedetto Croce; il maestro di una genealogia d'importanti studiosi; un politico repubblicano, ispiratore della più importante legge italiana a tutela dell'ambiente; un presidente della Biennale di Venezia; un mancato grande sindaco di Napoli; un commentatore vivacissimo. Ed è stato un uomo affabile e solare, di umanità profonda, di simpatia travolgente comune a pochissimi intellettuali. Ma per tutti era Il Professore, abituato a dare rigorosamente del «voi» ai suoi interlocutori, sua forma prediletta e come lui tipicamente napoletana. L'enorme rimpianto che lascia è testimoniato dai tanti andati a stringere le mani dei figli Giulia, Francesco e Luigi, in un susseguirsi di «galassiani» inconsolabili. Così tanti, nella casa di via Napoli, se ne erano già visti 10 anni fa, quando scomparve l'amatissima moglie Elena, da lui ammirata anche per il carattere indipendente che l'aveva indotta a prendere un brevetto da pilota. Allora lui le aveva rivolto un addio amoroso e teatrale, circondato da molte delle persone venute a salutarlo ieri, unite al Professore da quella napoletanissima socialità affettuosa e intima da lui ispirata: parenti, amici, accademici, giornalisti, ex studenti, intellettuali, ambientalisti, artisti, esponenti degli innumerevoli ambiti culturali, di tutte le «vite» che il Professore ha attraversato, sempre lasciando ben più di un segno, duraturo e mai banale. Come lo strepitoso titolo «TerraeMotus» inventato per la collezione d'arte contemporanea stimolata da Lucio Amelio dopo il sisma del 1980.

Napoli, l'Europa, il mondo: la bussola del Professore, spinto da irrefrenabile curiosità e voracità per la vita, è stata in costante andirinvieni tra questi poli. Ma se c'è una cosa che non ha mai dimenticato, sono le sue umili origini. «Sono nato in via Salvator Rosa 103, ho abitato prima a Salita Tarsia 116, poi a Montesanto, mio padre era vetraio, mamma casalinga e dell'infanzia ricordo gli stenti, la povertà e una grandissima allegria», raccontava. Insomma, nel tipico palazzo secentesco che riproduceva la stratificazione della città posto al centro delle sue ricostruzioni storiche, la famiglia Galasso abitava ai piani bassi. E lui, sopravvissuto con due fratelli ai molti figli avuti dalla madre, in quei vicoli del centro era tra gli scugnizzi più discoli, capofila di disfide a colpi di «petriate», lanci di pietre «contro quelli del Cavone», organizzatore di appassionate partite di pallone.

Il Professore raccontava di aver contratto l'abitudine alla lettura grazie ai due maestri delle elementari, «la signorina Maria Conte e il maestro Luigi Sala, che disse ai miei: è inutile mandarlo in quinta», facendogli fare il «salto» in prima media. Un merito lo assegnava anche allo zio Gennaro: «In vita sua avrà letto una decina di pagine di un libro ma mi regalò l'abbonamento alla biblioteca circolante di via Latella».

I libri segnarono il percorso del ragazzo Galasso, giovanissimo Balilla come tutti, sul punto di passare ad avanguardista ma che cominciava a capire l'idea di libertà. Per arrotondare non disdegnava ogni sorta di impiego, dalle lezioni private alla comparsa al San Carlo, ma subito dopo la Liberazione, a 16 anni, s'iscrisse al Pri. Di lì a poco, scoprì Benedetto Croce e il suo pensiero, rimanendone affascinato. Avrebbe ricambiato poi il debito intellettuale scrivendo Croce e lo spirito del suo tempo e curandone la riedizione delle opere presso Adelphi.
Laureato con Ernesto Pontieri, fu uno dei primi borsisti all'Istituto Croce, dove ebbe maestri come Chabod, Sestan, Momigliano, forgiando lì la sua avversione al dogmatismo. Nel 1954, con Chinchino Compagna, fu tra i fondatori di «Nord e Sud», cui collaborò con Nello Ajello, Rosario Romeo e altri giovani di allora. Nel 1975 Galasso fu eletto sindaco di Napoli con l'incarico di costruire una giunta, ma il mandato non andò in porto e fu un'occasione mancata per la città. Dal 1983 al 1994 fu deputato del Pri e per due volte ebbe l'incarico di sottosegretario, ai Beni culturali quando firmò la legge a tutela dell'ambiente e poi all'intervento straordinario nel Mezzogiorno. La Tangentopoli che travolse i partiti avrebbe bloccato anche la traiettoria politica del Professore e gli avrebbe riservato l'incredibile amarezza di un allontanamento dall'università Federico II. Ma la ricerca storica e l'insegnamento, proseguito fino a ieri al Suor Orsola Benincasa, ritrovarono l'esclusività di un impegno peraltro mai attutito e proseguito fino all'ultimo. Fino al recentissimo Storia della storiografia italiana Un profilo. I funerali del Professore si terranno domani 14 febbraio in forma laica alle 11 alla Società di Storia Patria, al Maschio Angioino.
 

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