M5S, ora scoppia il caso scontrini:
pasti, trasferte, hotel, consulenti
Spese d'oro per gli uomini di Grillo

M5S, ora scoppia il caso scontrini: pasti, trasferte, hotel, consulenti Spese d'oro per gli uomini di Grillo
di Francesco Lo Dico
Giovedì 15 Febbraio 2018, 08:23 - Ultimo agg. 12:50
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Francescani lo sono stati. Ma il voto di povertà è durato poco. Lo spartiacque arriva nell'aprile del 2014, quando Grillo sbarca a Roma d'urgenza. Insofferenti per le restituzioni a piccole e medie imprese che limano di molto i loro guadagni, senatori e deputati chiedono al padre superiore del Movimento di poter tenere per sé almeno la diaria mensile di 9mila euro. Nel corso di quella drammatica riunione Grillo propone una quota fissa di restituzione della diaria uguale per tutti, ma non c'è niente da fare. «Un atto di generosità che Beppe ha pagato a caro prezzo», racconta un ex parlamentare del Movimento. È proprio a partire dall'aprile 2014 che molti pentastellati cominciano a trattenere buona parte dei rimborsi.

Un'inversione di rotta che appare evidente anche su maquantospendi.it, il sito che spulcia tra i rimborsi dei Cinque Stelle. Ad aprile 2014, i grillini avevano restituito più di un milione di euro. Ma dal mese successivo, i soldi della diaria destinati alla collettività crollano a 300mila euro al mese, per non andare più oltre i 600mila se non in rari casi. È proprio da allora che i grillini smettono il saio della parsimonia. E indossano la grisaglia del privilegio «Da quel momento racconta l'ex parlamentare M5s anche i nostri deputati e senatori cominciarono a sciamare nei ristoranti del centro di Roma dove strinsero gli stessi accordi che aveva stretto quella casta che tanto odiavamo: sei fatture per i pasti dal lunedì al sabato, inutile aggiungere altro. Nella Capitale lo sanno anche i muri come funziona. Altri invece si misero d'accordo con fornitori, amici, e avvocati». Nessuno è in grado di dire quanti dei pasti consumati siano sospetti. Magari neppure uno, in assenza di controprove. Ma la certezza è che da aprile 2013 a gennaio 2017, i parlamentari del M5s hanno speso in cibo 3,2 milioni di euro.

Tra i più affamati Mattia Fantinati ( 46,391.65), Silvia Chimenti ( 41,649.26) e Danilo Toninelli ( 40,659.80). Praticamente a digiuno Massimiliano Bernini con zero euro, ma tra i più gandhiani ci sono anche il deputato torrese Luigi Gallo (poco più di 6mila euro di pasti in 4 anni) e Roberta Lombardi. Maquantospendi.it mette a verbale che i parlamentari grillini hanno speso in canoni mensili 5,5 milioni di euro in tre anni. Ma la somma è a geometria variabile. Ad esempio, la deputata uscente Marta Grande certifica da aprile 2013 a gennaio 2017 spese d'affitto per 108mila euro. «Un lusso, dato che vive a Civitavecchia: a un'ora di treno da Roma», commenta l'ex parlamentare del M5s». Ma a un'ora di treno da Roma vive anche il parsimonioso Massimiliano Bernini, che però preferiva rientrare a Viterbo tutte le sere, ed è quindi costato alle casse pubbliche zero euro. Tra le sistemazioni più esose, figurano quelle di Nicola Bianchi ( 73,601.14), Barbara Lezzi (quasi 67mila euro) e Nicola Morra (61mila), mentre Luigi Di Maio si è limitato a spendere 16mila euro. Il leader Cinque Stelle guida però la classifica delle missioni non ufficiali: 42mila euro in tre anni. E quella della cancelleria: 7mila e 500 euro in penne e matite.

Nella hit delle consulenze (spese complessive per quasi 2,5 milioni di euro fino a gennaio 2017), spiccano invece i 136mila euro di Lello Ciampolillo. Lo stesso che fino a ottobre 2017 ha speso anche 90mila euro in hotel e 70mila euro di trasporti, di cui quasi 30mila in taxi. Ma differenze e contraddizioni emergono anche alla voce spese sanitarie. Nel 2017 il deputato grillino Riccardo Fraccaro cantò vittoria perché l'assistenza sanitaria non sarebbe più stata a carico dei contribuenti. Ma il mese precedente il collega Danilo Toninelli aveva fatto in tempo a farsi restituire 5.480 euro di assicurazione sanitaria integrativa, proprio mentre il più morigerato Di Battista ne chiedeva indietro soltanto 90. Il big grillino ha tuttavia speso parecchio in consulenze: 56 mila euro, di cui 40mila in avvocati. Molto gettonati i anche i trasporti, che ammontano a un totale di 1 milione e 633mila euro. Federico D'Incà, ricandidato dal M5s, ha speso in mobilità 39.772 euro, di cui 32mila per rimborsi chilometrici. Il piatto dei rimborsi previsti per la diaria è d'altra parte succulento. Sul tavolo ci sono 3.500 euro per affitti e pasti. E altri 3.700 euro per il mandato, che vanno rendicontati soltanto per il 50 per cento: l'altra metà la Camera li paga a forfait, senza ricevuta. In totale 9mila euro tutti da spendere. Ma al netto di rancori e guerre intestine, l'unica strada per fugare ogni dubbio sarebbe proprio quella trasparenza da sempre invocata dai Cinque Stelle. La stessa che ispira il regolamento di cui si sono dotati i gruppi parlamentari del M5s all'inizio della loro avventura.
 

«Le regole sono chiare: deputati e senatori sono obbligati a conservare tutti gli scontrini e a non distruggerli. Perché non li tirano fuori per dimostrare che non hanno intascato un centesimo?», si chiede un fuoriuscito del Movimento. La faccenda scotta. Ma se alcuni ne parlano protetti dall'anonimato, altri hanno deciso di uscire allo scoperto. È il caso del senatore Giuseppe Vacciano, rottamato dal M5S nel 2015 dopo aver protestato contro le espulsioni di molti colleghi. Che due giorni fa, in piena marea rimborsi, ha affidato alla bacheca Facebook dell'ex militante Debora Borgese un messaggio eloquente, passato inosservato. «Chissà ha scritto - se qualcuno dopo tutto questo fracasso sulla quantità delle restituzioni vorrà soffermarsi sulla qualità delle spese e magari chiedere la famosa verifica a campione sulle ricevute». Già. In fondo basterebbe poco. Solo un po' di trasparenza.
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