Vertici delle Camere, patto a due
ma tra M5S e Lega s'inserisce Fi

Vertici delle Camere, patto a due ma tra M5S e Lega s'inserisce Fi
di Marco Conti
Martedì 13 Marzo 2018, 10:56 - Ultimo agg. 10:58
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«Il problema è che tutti vogliono fare l'opposizione e nessuno vuole governare». Allarga le braccia il senatore azzurro di lungo corso che per la prima volta guarda e subisce - insieme a tutta FI - le mosse dell'esuberante alleato. Con il Pd compattamente schierato all'opposizione, si riducono ulteriormente gli spazi anche per il partito di Berlusconi.

Il Cavaliere sarà Roma questa sera per incontrare Salvini e Meloni, e domani per riunire gli eletti. Il tentativo resta quello di spingere Salvini a lavorare per comporre una maggioranza di centrodestra a guida leghista. Se non fosse che il leader del Carroccio si muove come se l'argomento non lo riguardasse e ora il suo primo cruccio è quello di blindare l'accordo con i grillini sulle presidenze delle Camere.

I tentativi azzurri di coinvolgere il Pd promettendo loro la presidenza di Montecitorio, si sono infranti contro il muro renziano e una direzione dem che ha chiuso ad ogni trattativa. E così la palla torna in mano «ai due vincitori», Di Maio e Salvini, pronti a dividersi le due presidenze mentre FI tenta di puntare i piedi proponendo Paolo Romani a palazzo Madama. Lo schema più accreditato resta quello che vuole un leghista a Montecitorio (in pole position Giancarlo Giorgetti) e un grillino a palazzo Madama (testa a testa tra Danilo Toninelli e Vito Crimi). Se il 23 marzo andrà così, il Pd avrà occasione per sostenere che la stessa maggioranza che ha eletto i presidenti dovrà comporre il governo. Facile a dirsi ma impossibile a farsi, visto che «i due vincitori» hanno intenzione di comporre quel nuovo bipolarismo populista che alle prossime elezioni dovrebbe far fuori Pd e FI.
 
Malgrado gli appelli del Capo dello Stato alla «responsabilità», nulla si muove. E mentre il Pd si sfila e FI si sbraccia per essere notata, «i due vincitori», mandano in tv parlamentari che ripetono il copione da campagna elettorale. Una situazione bloccata che avrà bisogno di lunghi tempi di decantazione e di una serie di fallimenti - forse anche personali - che il Quirinale cercherà di attutire per evitare che la situazione diventi ancor più complicata. In attesa di smaltire i propri, l'altrui fallimento più atteso da parte degli esponenti del Pd, è quello di Luigi Di Maio che alle consultazioni arriverà con i soli numeri del M5S. Sono tanti gli eletti pentastellati, ma non sufficienti a comporre una maggioranza e ricevere un incarico dal presidente della Repubblica. Tra i «giochi di potere» che vede Di Maio c'è sicuramente anche il muro alzato dal Pd ad una possibile intesa con i 5S.

Eppure nel partito, che è ora affidato a Martina, qualcosa si muove visto che Gianni Cuperlo e Andrea Orlando hanno chiesto ieri al neo segretario di non tirarsi indietro per «un governo di scopo» o del presidente. Un esecutivo con tutti dentro al quale però nemmeno i renziani intendono tirarsi indietro. E così si torna al punto di partenza. Ovvero convincere Di Maio e Salvini che se veramente vogliono provare a comporre una maggioranza, devono mettersi da parte e trattare anche sul programma. Il vicepresidente della Camera, pur non mettendo mai in discussione il suo nome per palazzo Chigi, di passi di lato sul programma ne ha fatti aggiustando le priorità in modo da strizzare l'occhio alle varie anime della sinistra (reddito di cittadinanza che diventa reddito di inclusione, salario minimo, riduzione orario di lavoro, concertazione), mentre Lorenzo Fioramonti, possibile ministro 5S allo Sviluppo economico, rilascia interviste rassicuranti al Financial Times.

Salvini invece - come conferma il fedelissimo Giancarlo Giorgetti in più di una dichiarazione - non intende mollare né sui presidenti delle Camere, né sul programma, né sul suo nome per palazzo Chigi. Ciò alimenta i sospetti del Cavaliere su una Lega pronta a dire no a tutto tranne ad un esecutivo di sei mesi che porti il Paese a votare in autunno. In realtà il ricorso alle urne è forse più complicato della formazione del governo. Con le consultazioni ad aprile la finestra elettorale di primavera si è chiusa, mentre quella autunnale rischia di incrociarsi nuovamente con la legge di Bilancio. La sensazione è quella di trovarsi di fronte ad una macchina in panne (la legislatura), che per ora nessuno vuole spingere anche per il timore che una volta partita non si riesca più a raggiungerla e fermarla.
 

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