Rifiuti e tangenti, la svolta
Preso estorsore dei Moccia

Rifiuti e tangenti, la svolta Preso estorsore dei Moccia
di Leandro Del Gaudio
Mercoledì 14 Marzo 2018, 22:27
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Prima ancora di arrestarlo, gli hanno chiesto di tirare su la maglietta. E lui, almeno sulle prime non ha capito, si è limitato a mostrare le braccia e le spalle, zeppe di tatuaggi, spogliandosi a partire dal lato di sopra. Poi ha capito ed ha mostrato la pancia: era interamente bruciata, aveva una sorta di cintura corporea fatta di cicatrici all’altezza dell’ombelico, per tutto il giro vita, come se fosse stato torturato per ore. Ed è stata la svolta, il via libera alle manette ai polsi di Giovanni De Falco, presunto estorsore della camorra egemone alle porte di Napoli. 
È finito in manette due giorni fa, raggiunto da un fermo della Dda di Napoli, come presunto responsabile dell’incendio che la scorsa estate ha distrutto alcuni compattatori riconducibili a un consorzio impegnato nella raccolta dei rifiuti. Mesi di indagine sotto traccia, si comincia a fare luce su un episodio accaduto la scorsa estate, nel pieno dell’emergenza incendi che ha flagellato il territorio campano. Ricordate cosa accadde alle porte di Napoli? Era l’undici agosto, in una zona di confine tra i comuni di Afragola e Caivano, quando venne assaltato e distrutto un mezzo autocompattatore della ditta «Go Service». 

Fiamme dolose, hanno chiarito sin da subito i vigili del fuoco, in uno scenario investigativo che si è via via arricchito della testimonianza diretta dei protagonisti di quell’assalto. Inchiesta condotta dai pm Fulco e Scarfò, sotto il coordinamento del procuratore aggiunto Giuseppe Borrelli, c’è l’ipotesi di estorsione e di legami con la camorra a carico di De Falco. Oggi la convalida del fermo del pm, dinanzi al gip del Tribunale di Napoli, dove l’indagato potrà raccontare la propria versione dei fatti. Ma in cosa consiste quest’improvvisa svolta investigativa? Agli atti delle indagini, c’è il racconto di un collaboratore di giustizia che ha fatto riferimento al presunto pressing estorsivo di soggetti che si sono presentati come esponenti dei Moccia. In sintesi, dietro il rogo dello scorso 11 agosto, ci sarebbe una trama camorristica, con un fine ben preciso: imporre una tangente al gruppo di imprese private che era riuscito ad aggiudicarsi un importante lotto di appalti per la raccolta e il conferimento dei rifiuti. 

Camorra e tangenti, appalti e incendi, attentati e arresti: scenario investigativo che riconduce ai periodi più bui della storia criminale in Campania, a dimostrazione dell’esistenza di un’emergenza perenne. E non è un caso che a firmare la richiesta di arresto a carico di De Falco, ci siano gli stessi magistrati in questi mesi impegnati nelle indagini sulla Sma e sulle ecoballe, in modo del tutto autonomo rispetto alla videoinchiesta targata Fanpage. Ma torniamo all’arresto di due giorni fa, alle manette ai polsi dell’uomo al quale era stato chiesto di alzare la maglietta e mostrare quelle bruciature all’altezza della pancia e del giro vita. Stando a quanto trapelato finora, infatti, l’uomo sarebbe rimasto gravemente ferito durante l’assalto incendiario, sarebbe rimasto vittima di se stesso, a causa di quelle lingue di fuoco alimentate dal vento dello scorso agosto. Fiamme all’altezza della pancia, dolore lancinante, puntualmente soffocato per ordine dello stesso clan. Stando a quanto raccontato da un collaboratore di giustizia - anche in questo caso parliamo di soggetti indicati come vicini ai Moccia -, subito dopo il raid incendiario, venne imposto a De Falco di non marcare visita. Di evitare ospedali e pronto soccorso, per non attirare sul clan di appartenenza le indagini del pool anticamorra. E fu così che rimase giorni in casa, in preda a sofferenze atroci, senza poter contare sul ricovero in una struttura ospedaliera. Una condizione di sofferenza soffocata sul nascere, che viene ripercorsa nelle indagini condotte dai carabinieri della compagnia di Castello di Cisterna, ora più che mai forti di una fonte interna alla camorra dell’hinterland. 

Retroscena che appartengono alle indagini del pool anticamorra della Procura di Napoli. Si ritorna all’undici agosto scorso, alle fiamme all’autocompattatore. In questi mesi, la Go Service - vittima del raid incendiario all’interno del suo parco mezzi - ha anche sporto denuncia. Sotto i riflettori è anche finito un intero procedimento amministrativo, che ha consentito di assegnare alla Go Service - un consorzio di più imprese specializzate in materia di rimozione rifiuti - una gara che faceva particolarmente gola a tutti. Rifiuti, raccolta della spazzatura in una delle conurbazioni tra le più popolose in Italia. Un appalto milionario, in termini esponenziali, sul quale sarebbe stato esercitato il pressing della camorra. Incendio doloso, dunque, mirato e studiato in modo chirurgico. De Falco non era solo: guidava un commando armato, all’interno dello stabilimento aziendale, riuscì ad allontanare custodi e altri potenziali testimoni. Poi le fiamme, tutti pancia a terra, tranne lui. Ma rimase per troppo tempo ad osservare il «lavoro» portato a termine, minuti preziosi, e non poté evitare che un’improvvisa fiammata lo raggiungesse alla pancia. Un inferno, in quel deposito tra Caivano e Afragola. Una scena atroce raccontata da uno degli ultimi pentiti emersi dalla camorra dell’hinterland, che sta contribuendo a spostare l’attenzione degli investigatori proprio sui business criminali all’ombra dell’emergenza rifiuti. Uno scenario di emergenza che alimenta appetiti malavitosi, che ripropone gli stessi codici di violenza che hanno insanguinato il territorio negli ultimi decenni. Una realtà sulla quale sono aperte più indagini, come quelle legate alle presunte tangenti all’ombra della Sma (legate alla rimozione dei fanghi dai cinque depuratori della Campania), alimentate in questi mesi dal lavoro «sotto copertura» dell’ex boss della camorra Nunzio Perrella, in campo come agente provocatore con tanto di telecamera nascosta. Ora c’è un passo in avanti, con il blitz dei carabinieri di Castello di Cisterna, con il decreto di fermo a carico del presunto uomo di fiducia della camorra imprenditoriale, l’attentatore dello scorso agosto. Un uomo costretto a soffrire in silenzio, ad aspettare che le ferite si cicatrizzassero lontano da un ospedale, come il clan gli avrebbe imposto dopo il raid incendiario. A nascondere tutto, almeno fino all’arrivo delle dichiarazioni di un pentito e al lavoro degli inquirenti che, prima di arrestarlo, gli hanno chiesto l’ultima verifica: alzare la maglia per capire se il pentito avesse detto il vero sul raid dello scorso agosto. 
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