Tonnellate di scorie sulla Terra, lo spazio una grande discarica

Tonnellate di scorie sulla Terra, lo spazio una grande discarica
di Massimo Capaccioli
Martedì 3 Aprile 2018, 09:53 - Ultimo agg. 12:53
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Avete presente i cigli di quelle strade che d'estate trasportano torrenti di vacanzieri alle spiagge più popolari? Lindi e pinti a inizio stagione, rapidamente assumono un aspetto sordido, diventando lo specchio della nostra mala educazione. Discariche a cielo aperto d'ogni tipo di immondizia, dall'ingombrante e lacero copertone di camion ai pacchetti vuoti di sigarette, brandelli di fazzoletti di carta, resti di scatolette, cicche e magari briciole di cibo, triturati dal traffico e dalle intemperie; per non parlare di oggetti inattesi come un pettine o una singola scarpa (la quale ci lascia anche l'amletico dubbio di dove sia andata a finire l'altra). Sono resti che tracciano il passaggio di branchi di umani incuranti, avvezzi da sempre a insozzare senza scrupolo la superficie del pianeta, e che oggi, in barba a una civiltà globale in crescita, lo fanno molto più efficacemente grazie a un maggiore potere sulle cose, per incuria o, nel caso dei grandi inquinatori, per cieco profitto.

Che c'è di nuovo? La novità, oggi, è che noi, ottusi vandali, ci siamo allargati, portando anche in cielo l'antico vizio di lordare l'ambiente. Migliaia di tonnellate di detriti di tutti i tipi e di tutte le taglie, depositate sulla Luna, sui pianeti vicini, o fluttuanti nello spazio che circonda la Terra, testimoniano uno scempio in atto e rappresentano un crescente pericolo per noi, che ci passeggiamo sotto, e per uomini e mezzi che vogliano condividere l'habitat di queste scorie: un guscio di cielo compreso approssimativamente tra 300 e 36-mila chilometri di altezza.

Ma com'è successo? Tutto ha preso il via sessant'anni fa, il 4 ottobre del 1957, quando dal cosmodromo di Baikonur i sovietici lanciarono lo Sputnik 1, una sfera di alluminio del diametro di 60 cm pesante meno di un quintale, dotata di quattro lunghi bargigli. Dopo aver circumnavigato il pianeta per tre mesi, la preistorica sonda venne richiamata a terra e lasciata bruciare dall'attrito con l'atmosfera. Da allora sono molte migliaia i veicoli di ogni genere inviati nello spazio circumterrestre a diverse quote, dalle orbite basse e veloci sino a quelle, dette geosincrone, che si percorrono in un giorno esatto. Satelliti militari, meteorologici o per telecomunicazioni, osservatori astronomici, navi interplanetarie e stazioni spaziali, per citare gli esempi più noti. A questa entusiasmante conquista dello spazio ha fatto purtroppo pendant l'inquinamento dell'ambiente.

Ormai lassù c'è di tutto: veicoli rottamati o in avaria, oggetti smarriti come guanti e chiavi inglesi persi durante le passeggiate extra-veicolari, serbatoi di carburante semivuoti, rifiuti umani generati dai soggiorni degli astronauti nelle stazioni spaziali, particelle di carburante e soprattutto miliardi e miliardi di frammenti provenienti da accidentali collisioni di veicoli spaziali tra loro o con i detriti orbitanti, oppure dall'esplosione più o meno accidentale di un qualche sonda. Proiettili grandi come una lavatrice, ma piuttosto rari, sino alle innumerevoli minuscole schegge di vernice che pesano meno dun grammo e che tuttavia possono causare più danni d'una manciata di candelotti di dinamite. La ragione è che, per galleggiare in orbita, questi proiettili devono possedere una velocità dell'ordine di 10 chilometri al secondo, e dunque un'energia pari a quella di una palla di ferro di un quintale sparata a 100 chilometri all'ora. Possono fare davvero male, e soprattutto partorire nuovi frammenti, in un processo a catena che, triturando i tagli più grossi, è destinato a creare attorno alla Terra una sorta di letale nube di particelle in grado di assediarci, rendendo le rotte circumterrestri, e i transiti verso lo spazio esterno, mortalmente pericolosi.

Che fare, oltre a censire con grande costo e ancora scarsa efficienza le schegge maggiori così da sapere dove si trovano e poterle evitare? Se è vero che cosa fatta capo ha, un modo efficace per non peggiorare la già difficile situazione sarebbe di applicare a tutti i futuri veicoli spaziali la procedura adottata, volenti o nolenti, per la stazione spaziale cinese: riportare a terra tutte le macchine vecchie o malate, facendo sì che vengano disintegrate durante il passaggio in atmosfera. Si eviterebbe in questo modo di appesantire l'ambiente spaziale di nuovi partecipanti a quel frappè celeste che tanto ci disturba. Purtroppo l'operazione è rischiosa perché genera una pioggia di schegge difficilmente controllabile, che potrebbe risultare esiziale qualora interessasse zone della Terra densamente popolate.

 

Insomma, siamo nei guai. È sempre la solita musica: bisognava pensarci prima e fare le cose meglio. Ora, come per i tanti scellerati insediamenti industriali che hanno strangolato l'ambiente costringendoci a costosissime e tardive bonifiche, anche il cielo sopra le nostre teste andrebbe ripulito per bene per proteggere le rotte spaziali, e messo in sicurezza in modo da ridurre la probabilità di essere colpiti da una scheggia impazzita. L'obiettivo è chiaro, ma per ora nessuno sa come perseguirlo se non in modo parziale.
Sarebbe il colmo se, dopo aver imparato a scalare il cielo, per colpa nostra dovessimo rimanere a terra e con le mani sulla testa per proteggerci, solo perché abbiamo sporcato troppo e senza criterio.
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