1861, il divario tra i salari di Nord Sud non esiste: dopo l'Unità cambia tutto

1861, il divario tra i salari di Nord Sud non esiste: dopo l'Unità cambia tutto
di Marco Esposito
Sabato 14 Aprile 2018, 17:59
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Il tasso di occupati? Come oggi. Le differenze nei salari regionali? Notevoli come adesso. L'Italia del 1861 ha aspetti sorprendentemente simili a quelli contemporanei; ma anche una decisa differenza: il forte divario Nord-Sud non esisteva. Anzi. Il tasso di occupazione nel 1861 vedeva ai primi tre posti Calabria, Abruzzo-Molise e Basilicata. Mentre con un salario tipo nel settore delle costruzioni si potevano acquistare in media 3,2 panieri di beni alimentari nel Mezzogiorno contro i 2,8 panieri del Centronord.

A elaborare i dati è la coppia di professori dell'università della Magna Grecia (Catanzaro) Vittorio Daniele e Paolo Malanima, in una ricerca sui livelli salariali in inglese («Regional wages and the North-South disparity in Italy after the unification») che sarà presto pubblicata, in versione sintetica e in italiano, a firma del solo Daniele.
Daniele e Malanima non sono nuovi a indagini in tale campo. Finora però il lavoro degli economisti si è concentrato sulla ricostruzione del Pil in quegli anni decisivi che hanno visto la formazione dello stato nazionale. La novità del lavoro attuale è che non siamo di fronte a una stima - per sua natura molto approssimativa quando fa riferimento a epoche così lontane - bensì al ritrovamento presso gli archivi dei ministeri di statistiche dell'epoca, sia sul livello dei salari, sia su quello dei prezzi. Siamo di fronte, quindi, a una fonte primaria e in particolare al volume pubblicato nel 1880 con il titolo prolisso ma efficace: Salari. Prezzi medi di un'ora di lavoro degli operai addetti alle opere di muratura ed ai trasporti di terra e mercedi medie giornaliere degli operai addetti alle miniere (1862-1878. I salari sono rilevati per 69 province di sedici regioni e si riferiscono a dieci figure professionali del settore delle costruzioni: capomastro, muratore di prima e di seconda classe, manovali (divisi in uomini, ragazzi e donne) e terraioli (divisi anch'essi in uomini, ragazzi e donne). Una miniera di dati preziosa e finora utilizzata molto parzialmente, con valori omogenei espressi in millesimi di lire per ora.

La differenza uomo-donna è evidente. Per i terraioli nel 1862 la retribuzione oraria era di 138 millesimi di lira per un uomo, 87 per un ragazzo e 63 per una donna. Per il capomastro, invece, non esistono retribuzioni femminili e il salario orario sale a 356 millesimi di lira. Mentre il muratore di prima classe era a quota 236 millesimi.
Le differenze regionali erano forti, ma senza la rigida ripartizione Nord-Sud cui oggi siamo abituati. Se si considera la media dei dati 1862-78 per la figura professionale chiave del muratore, i salari più elevati si registrano in Sardegna, Liguria e Sicilia mentre i più bassi nelle Marche, in Campania e in Calabria. Gli autori spiegano i salari elevati nelle isole con la minore concorrenza tra lavoratori, visto che all'epoca non esisteva alcuna forma di sindacato o di minimo contrattuale. Infatti la Sicilia e la Sardegna nel 1861 erano anche le regioni con il più basso tasso di occupazione e questo, secondo gli autori, poteva rendere più rara la figura del lavoratore con competenze nelle costruzioni e quindi più elevati i salari relativi. Al contrario in Campania la presenza più numerosa di lavoratori nel settore delle costruzioni tendeva a rendere i salari meno elevati della media.

Il tasso di occupati, nel 1861, era sorprendentemente simile a quello attuale: 59% contro il 58% del 2017. La differenza che salta agli occhi è che quel 59% nel 1861 era identico al Centronord come nel Mezzogiorno, pur con differenze marcate all'interno delle due macroaree del Paese. Oggi invece il 58% è la media tra il 65% del Centronord e il 44% del Mezzogiorno, con tutte le regioni meridionali al di sotto della peggiore del CentroNord. A distanza di 156 anni, il tasso di occupazione è sceso di 31 punti in Calabria, di 18 punti in Basilicata e di 16 punti in Campania mentre è cresciuto di 15 punti in Veneto di 11 punti in Toscana e di 10 punti in Emilia Romagna.
Tornando ai salari, la ricerca di Daniele e Malanima cerca di comprendere se le differenze emergono considerando il potere di acquisto. Il paniere è composto conteggiando i prezzi di alcuni generi alimentari di base, tali da garantire 3.000 calorie al giorno per gli uomini e 2.500 calorie per le donne. Ebbene: in media nel Mezzogiorno il potere d'acquisto tra il 1862 e il 1878 è stato di 3,2 panieri al giorno mentre al CentroNord di 2,8 panieri. Quindi la differenza nel tenore di vita c'è ed è a vantaggio del Mezzogiorno, anche se ciò è dovuto soprattutto ai salari elevati di Sicilia e Sardegna. Se si escludono le due isole, il Sud continentale si attesta a 2,9 panieri quindi in pratica allo stesso livello del Centronord.

Il divario Nord-Sud - scrivono Daniele e Malanima nelle conclusioni - non va cercato come a lungo si è fatto in differenze storiche risalenti al Medioevo se non addirittura all'antichità, bensì in eventi accaduti nei primi decenni dell'unità d'Italia e in particolare con l'avvio dell'industrializzazione dopo il 1881. La questione va molto oltre il confine degli storici o le diatribe dei pochi appassionati di statistiche economiche. Il tema parla all'oggi: il Mezzogiorno dipinto come un territorio in perenne ritardo, paradiso abitato da diavoli, giustifica la tesi di chi ritiene inutile investire nel Sud Italia. Se invece le tesi sostenute - sulla base di documenti dell'epoca - da Daniele e Malanima sono credibili, allora il ritardo del Mezzogiorno si spiega con i diversi investimenti pubblici e privati nelle due aree che hanno accompagnato l'industrializzazione alla fine dell'ottocento e che caratterizzano anche gli investimenti pubblici degli ultimi vent'anni. Il ritardo del Sud, insomma, non è un destino ma una condizione storica che ha avuto un inizio e può avere una fine.
 
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