Partiti e associazioni «stranieri» a Napoli

di Paolo Macry
Lunedì 16 Aprile 2018, 09:58
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La giornata delle due piazze, la piazza demagistrisiana e la piazza anti-demagistrisiana, che già costituiva un'amara bizzarria tutta napoletana, non servirà probabilmente a nulla, nel merito. Ma intanto suggerisce alcune riflessioni sul quadro politico cittadino e sugli umori dell'opinione pubblica.

Suggerisce al sindaco, per cominciare, che il Popolo latita. Se la manifestazione «contro il debito ingiusto» doveva essere una prova muscolare, i numeri dicono che è riuscita a metà. E forse meno. Davanti al Municipio, a dispetto di una macchina politica assai attenta alla comunicazione e non priva di mezzi, sventolavano infatti molte bandiere e poca gente. Il che non è poi così incomprensibile. Dopo anni di amministrazione a dir poco faticosa, è naturale che la popolazione sia tiepida, o delusa, o magari arrabbiata nei confronti di palazzo San Giacomo. E poi è cambiato il contesto, rispetto al trionfo del 2011 e alla stessa replica del 2016. Oggi esistono movimenti in grado di contendere a de Magistris il suo originario spazio politico. E si capisce che il sindaco abbia difficoltà ad agganciarli. I pentastellati non c'erano, tra le folle dimagrite di venerdì scorso, non avendo tutto sommato alcun motivo per farsi coinvolgere in un'esperienza che ha molte ombre. Preferendo avere le mani libere.

Ma è stata l'altra piazza, quella anti-demagistrisiana, a dare le informazioni più interessanti. O più sconcertanti. A partire dai numeri. I manifestanti erano indubbiamente pochi, molto meno degli altri. Tutto scontato? Non proprio. A piazza Trieste e Trento, su invito delle associazioni civiche, si erano dati appuntamento niente di meno che il Pd e FI, cioè i partiti che per decenni hanno monopolizzato i consensi in città. Quelli che arrivavano a riempire piazza Plebiscito. Ma erano altri tempi. Oggi, come si è visto, la loro capacità di mobilitazione sembra vicina allo zero. Piazze vuote, urne vuote, è lo slogan. Una crisi che si conosceva già, certamente. Quel che non si conosceva, dei partiti napoletani, è l'ormai radicale estraneità alla polis, l'inspiegabile riluttanza a tutto quanto può interessare i cittadini, una sorta di pigrizia nevrotica. 

Che la corazzata deluchiana abbia portato in piazza, nelle vesti di privato simpatizzante, il solo, impavido Umberto De Gregorio rasenta il paradosso. Che Valeria Valente fosse il testimone sparuto di una sinistra che per decenni ha fatto man bassa dei poteri cittadini, era uno spettacolo indicibile. Che il volonteroso Stanislao Lanzotti tenesse alti, con le sue sole forze, i destini di un centrodestra che appena tre anni fa reggeva palazzo Santa Lucia, è quasi incomprensibile. Evidentemente, i «grandi» partiti non avevano mobilitato le truppe cammellate. 

Ma quella piazza diceva scandalosamente che, tolte le suddette truppe, non esiste ormai un'opinione pubblica, neppure una piccola frazione di napoletani, che si riconosca nei partiti tradizionali. Il che spiega in abbondanza perchè movimenti e partiti nuovi abbiano davanti a se praterie da conquistare. E in buona parte le abbiano già conquistate. 

Ma che in piazza fossero pochi, la dice lunga anche sull'ancora limitata capacità di mobilitazione del mondo dell'associazionismo. Il quale, con ogni evidenza, sconta un disinteresse diffuso della cittadinanza nei confronti della cosa pubblica, figlio a sua volta delle molte delusioni politiche inanellate ormai da anni. E sebbene non siano certamente sue le responsabilità, quell'associazionismo non può che farsi carico di una simile situazione, cioè del deserto creato dai partiti, di una pratica astensionistica sempre più comune, di un continuo ridursi delle aspettative. La strada è difficile, insomma. E le associazioni, del resto, hanno fatto e continuano a fare errori politici evidenti. Presentarsi in oltre cinquanta comitati, come orgogliosamente ripetevano gli altoparlanti, è un boomerang plateale, perchè rivela l'incapacità di fare rete, trovare punti di aggregazione, comunicare quell'immagine di coesione che costituisce pur sempre un valore aggiunto. Stupisce che un'area di società civile così generosamente impegnata nella città non sia riuscita a imbastire un esplicito percorso costituente. Indicendo, per esempio, una conferenza programmatica nel corso della quale selezionare gli obiettivi, creare un movimento unitario, accrescere così la sua influenza nel confronto politico-culturale. E stupisce, sebbene le personalità non manchino, che non abbia saputo costruire una propria classe dirigente. Cioè nomi e cognomi, riferimenti espliciti, distribuzione di compiti e deleghe. E che non si sia posto, insieme a quello della classe dirigente, il problema di una leadership riconosciuta e anch'essa formalizzata. Un leader, ovviamente, sarebbe indispensabile, ove mai l'associazionismo intendesse presentare, quando sarà il momento, una propria candidatura al Municipio. Ma un leader appare già oggi necessario come punto di riferimento per una piazza che voglia essere più aderente alla complessità di Napoli e che voglia dibatterne temi e problemi non soltanto su Facebook, Instagram o Twitter.
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