Maria Pirro
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«Aborti illegali, una piaga mai sanata: il vero nodo è rilanciare i consultori»

di Maria Pirro
Mercoledì 18 Aprile 2018, 08:07 - Ultimo agg. 08:09
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Simona Ricciardelli ha 75 anni, a Napoli è il volto del movimento femminista. Capelli corti e rossi, profilo sottile. Una vita per la 194, la legge sull'interruzione volontaria di gravidanza, schierata anche con le donne in nero e i pacifisti per la Palestina. Presiede la Consulta delle donne in Regione. La sua casa è accanto a quella dei figli, nel centro antico, sul pavimento i faldoni che ricostruiscono quarant'anni di storia. «Allora la contraccezione non si praticava e io calcolavo i giorni e i minuti per evitare di restare incinta, ma senza nemmeno pormi il problema di come avesse fatto mia madre», racconta.

Qual è stato il punto di non ritorno?
«Il referendum del 1981. Far applicare le nuove norme divenne innanzitutto un obiettivo politico, il giusto riconoscimento di un diritto per il quale avevamo tanto lottato».
Obiettivo raggiunto a fatica in Campania.
«Fu necessaria una battaglia straordinaria, dopo due goffi tentativi di attuazione della legge. Alla fine degli anni Ottanta, le donne medico del Cardarelli, assieme alle biologhe della stessa struttura e alle attiviste del Tribunale del malato, mi individuarono come loro portavoce con l'obiettivo di ottenere 40 ore dedicate al servizio in ospedale».
Perché proprio lei?
«Scelsero me perché usavo un linguaggio semplice: anche alle riunioni interne, quando qualcuno domandava chi fossi e perché mi trovassi in ospedale, dicevano che rappresentavo la cittadinanza. Un modo per ancorare il dibattito a problemi e soluzioni concrete».
Risultato?
«Dopo due anni di proteste, ci chiesero in Regione: Chi di voi deve avere il posto? Nessuno. Se è così, vi diamo subito l'incarico, aggiunsero».
Quindi?
«Scrivemmo insieme il contratto, escludendo dal bando i medici alle prime armi, senza preparazione. E, nel 1993, aprì la struttura. Fu una vittoria straordinaria».
Lei continua ad andare negli ospedali per monitorare il servizio.
«Purtroppo, in decadenza al Cardarelli come in altre strutture. La difficoltà nella prenotazione non centralizzata è molto seria. Un problema è l'accoglienza, ad esempio al Policlinico della Federico II, dove lavorano medici straordinari ma manca un assistente sanitario che possa garantire un colloquio a tutte le pazienti senza costringerle a tornare l'indomani».
Eppure, basterebbe poco per cancellare il disagio. Perché questo non accade?
«L'aborto resta un tabù, una legge che da più parti e ciclicamente si chiede di abrogare».
Quando l'intervento è a ostacoli, c'è il rischio di ricorso a medici senza scrupoli e servizi illegali.
«Gli aborti clandestini si praticano ancora, anche a Napoli, per cifre irrisorie, ma solo le prestazioni in ospedale possono essere considerate sicure: di qui la battaglia per sostenere la 194».
Il numero di interventi è comunque in calo. Come spiega questo dato?
«C'è un aumento dell'infertilità, si registra una diminuzione del desiderio sessuale e un maggiore ricorso alla contraccezione di emergenza».
Chi sono le donne che oggi chiedono di poter abortire?
«È difficile dirlo, perché non si fa più una ricerca mirata a tracciarne l'identikit. E questo è un altro problema: io ho imparato tutto, innanzitutto le criticità su cui lavorare, analizzando negli anni Novanta la documentazione della Regione».
Ne ha accompagnate tante ad abortire. Quante?
«Ho ascoltato le difficoltà di tantissime donne: sconosciute, amiche, parenti, immigrate, ragazzine».
Chi ricorda tra queste donne?
«L'ultima, una bimba rom accompagnata anche dalla madre, che però non ha chiarito chi fosse il padre del bimbo mai nato».
Altre storie nel cuore?
«Ricordo che una donna mi disse: interrompo la gravidanza perché il mio compagno non vuole questo bimbo, ma tronco anche la relazione con lui, oggi stesso. L'aborto è comunque un inciampo, che può avere strascichi. Chi lo decide, nel contempo lo subisce. Per evitare disagi fisici e psichici, occorre un percorso femminista».
Che significa, al di là deli slogan?
«Far acquisire alle donne maggiore consapevolezza del proprio ruolo».
Cosa propone?
«Persino le nostre figlie non usano anticoncezionali e precauzioni: l'attenzione si è spostata sulla ricerca farmacologica.

Ma l'aborto non è solo un atto medico. Serve più attenzione su questi temi. Il consultorio, per la 194 primo punto di riferimento, deve tornare a essere casa delle donne, dove discutere di tutto, dalla libertà sessuale alla prevenzione. Gli studi di medicina di genere oggi dimostrano quanto siano profonde anche le diseguaglianze, tra uomini e donne, nelle cure: di questo parleremo il 22 maggio, più e meglio, nell'anniversario della legge».

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