Sud, 265 aziende oltre la crisi: «Competitive come al Nord»

Sud, 265 aziende oltre la crisi: «Competitive come al Nord»
di Nando Santonastaso
Sabato 5 Maggio 2018, 10:18 - Ultimo agg. 19:06
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Che «piccolo è bello» non è più un valore sul piano strettamente economico lo si sapeva. E che a uscire meglio dalla crisi sono state al Sud non solo le grandi imprese industriali ma anche quelle di medie dimensioni (meno di 250 dipendenti e fatturati non superiori ai 40 milioni, almeno secondo la classificazione più comune) era anche questo in gran parte noto.

Ma che avessero recuperato un livello di competitività pari a quello delle aziende omologhe del centro-nord è decisamente un fattore di novità. Anche perché, come spiega la settima edizione del «Rapporto sulle imprese industriali del Mezzogiorno», curato dalla Fondazione Ugo La Malfa in collaborazione con Mediobanca e Matching Energies, presentato ieri nella Sala Siani del Mattino, non si tratta di un exploit occasionale. L'incidenza del costo del lavoro sul valore aggiunto è infatti ormai la stessa tra le due aree del Paese, con una crescita dei livelli di produttività superiore persino alla media nazionale (25% contro 21%).

Il guaio è che questa tipologia di imprese, che ha beneficiato di una forte spinta dell'export, è ancora minoritaria rispetto al resto del Paese. A fine 2017 se ne contavano al Sud appena 265 sulle 3.376 esistenti in Italia, con un calo del 27% rispetto al 2008, l'anno di inizio della recessione. Chi ce l'ha fatta, insomma, è uscito dal tunnel più forte e attrezzato di prima. Ma intanto, come evidenzia l'economista Paolo Savona, è cambiato lo scenario territoriale di riferimento e non è una notizia piacevole: non tutte le regioni del Mezzogiorno hanno saputo intercettare la ripresa o comunque adeguarsi alla crisi, oggi esistono realtà molto diverse tra di loro, con Campania e Puglia assai più avanti di tutte le altre e con la prima in grado di vantare persino una bilancia dei pagamenti in equilibrio. C'è un nuovo dualismo con il quale bisogna fare i conti ben sapendo che la crescita è indispensabile ma che in via prioritaria occorre organizzare le condizioni migliori «perché essa non produca solo innovazione ma anche occupazione», avverte l'ex ministro dell'Industria, convinto che tocca anche agli intellettuali affrontare la questione.

«È da qui che bisogna partire dice Giorgio La Malfa, presidente della Fondazione intitolata al padre durante la presentazione del Rapporto, coordinata dal direttore del Mattino, Alessandro Barbano per indicare nuovi obiettivi di politica economica per il Mezzogiorno alle istituzioni e al nuovo governo di cui c'è assoluto bisogno. Di fronte al malessere per le precarie condizioni economiche di vasta parte di questo territorio e al dramma della disoccupazione giovanile dobbiamo pensare, ad esempio, a favorire l'apertura al Sud di maggiori succursali delle grandi aziende del Settentrione, garantendo loro il normale accesso alle infrastrutture della comunicazione e bloccando le interferenze dell'illegalità, della politica e della burocrazia».

 

Di sicuro, se ci si limita ai soli numeri dell'occupazione, nelle medie imprese del Mezzogiorno si arriva al massimo a 32mila addetti e si sale a 110mila calcolando anche i lavoratori degli stabilimenti con oltre 500 addetti. Troppo pochi per un'area di 23 milioni di abitanti che pure mostra segnali di vivacità anche sul piano industriale e nella quale le Zes possono dare un impulso decisivo, specie in termini di attrazione di nuovi investimenti: «Abbiano sollecitato il governo ancora in carica a firmare l'ultimo atto per l'istituzione delle Zone economiche speciali che debutteranno al Sud in Campania e Calabria dice l'assessore regionale allo sviluppo Amedeo Lepore -: non risolveranno tutti i problemi ma sono un acceleratore importante per lo sviluppo. Servono però soprattutto investimenti produttivi, ben sapendo che tutto ciò che come Regione abbiamo messo in campo in questi mesi, dagli accordi di programma ai contratti di sviluppo, al forte impulso alla digitalizzazione richiede tempi non rapidi per manifestare tutte le sue forti ricadute sul territorio».
Forse però si potrebbe accelerare un po' al di fuori degli schemi, propone l'industriale Marco Zigon, patron del Gruppo Getra, leader internazionale nell'energia, con una provocazione che però sa molto di concretezza: «Serve un patto compensativo tra sistema delle imprese e istituzioni di governo», dice. E spiega: «Una soluzione non convenzionale può favorire sviluppo e occupazione rendendo più attrattivo il territorio. Se da un lato il Mezzogiorno ha bisogno di nuova occupazione che solo le imprese possono creare, dall'altro le imprese meridionali hanno bisogno di dotazioni infrastrutturali fisiche e immateriali per comare il divario con il Nord Italia e con l'Europa. Avere aziende eccellenti, allineate con l'innovazione 4.0 è un punto di partenza, la partita della competizione globale non la vince la singola impresa di successo ma i sistemi territoriali. E la competitività tutta interna alle aziende è sterile se il contesto è segnato da criticità importanti come scarsa sicurezza, infrastrutture scadenti, burocrazia lenta e improduttiva, insufficiente appealing per nuovi investimenti». E allora ecco l'idea del patto compensativo: «Una misurazione degli indici di competizione propone Zigon affidata a un istituto osservatore terzo che offre un outlook annuale sulle diseconomie che frenano la crescita». Aggiunge Lepore: «Tocca alla politica impegnarsi per garantire le condizioni degli investimenti. La Regione Campania è la prima in Italia ad avere messo a punto una proposta di economia circolare che non vuol dire solo riciclare materiali ma realizzare un ciclo economico completo nel quale si mette fine agli sprechi e si costruisce un sistema fatto di trasparenza e linearità».
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