Ue, asse Parigi-Berlino: salasso in vista per il Sud

Ue, asse Parigi-Berlino: salasso in vista per il Sud
di Francesco Pacifico
Lunedì 7 Maggio 2018, 10:25 - Ultimo agg. 14:12
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La guerra dei dazi, che Donald Trump ha soltanto rimandato di un mese, potrebbe costare all'Italia circa 5 miliardi di euro. Questo, ha calcolato Pier Carlo Padoan nel Def: il valore delle esportazioni che si potrebbero se si inserissero nuove barriere nei commerci mondiali. La riforma del bilancio europeo 2020-2027, con i circa 12 miliardi di contributi britannici da recuperare dopo la Brexit, potrebbe vedere il Sud privato di almeno 7 miliardi di euro di fondi per la coesione e fondi per l'agricoltura della futura programmazione. Eppure, dietro le quinte e in questo clima, s'inserisce una trattativa per certi aspetti ancora più decisiva per il futuro della Ue e della stessa Italia: la riforma della governance europea, quella che dovrebbe dare all'area un governo unitario dell'economia con un ministro e un fondo monetario proprio, regole fiscali più flessibili e legate allo sviluppo, una diversa politica sull'immigrazione e, soprattutto, il superamento dei veti dei piccoli sull'approvazione delle riforme di sistema.

In teoria si dovrebbe decidere quale strada seguire già al prossimo Consiglio europeo di giugno - dove non è detto che l'Italia sia presente con un governo nel pieno delle sue funzioni - in pratica tutto è congelato perché sull'argomento stanno litigando anche gli azionisti di controllo dell'Eurozona. Cioè Francia e Germania che hanno rimandato la presentazione di una piattaforma comune sulla quale stanno lavorando da mesi - ufficiosamente - un pool di economisti e giuristi dei due Paesi. Non a caso, a margine dell'Ecofin di Sofia, Valdis Dombrovskis ha richiamato tutti a una maggiore responsabilità: «Stiamo finendo il tempo, quindi dobbiamo abbandonare le nostre posizioni di trincea e trovare compromessi».
 
Sempre da Sofia Bruno Le Maire e Olaf Scholz, ministri delle Finanze francese e tedesco, hanno cinguettato: «Abbiamo lo stesso obiettivo: un'Eurozona più robusta e fortemente integrata. Siamo ottimisti che riusciremo a presentare un piano comune» entro giugno.

Rispetto ai mesi scorsi sono avvenuti alcuni eventi che hanno stravolto i rapporti tra Macron e la Merkel. A differenza dei suoi predecessori l'inquilino dell'Eliseo ha aperto un dialogo diretto con l'America di Trump, che invece vuole umiliare le ambizioni politiche e commerciali tedesche. La Cancelliera, invece, si è ritrovata con un governo di grande coalizione più a destra del dovuto. Il ministro delle Finanze Scholz, nonostante la fame di colomba, si è presentato all'opinione pubblico scandendo: «Un ministro delle Finanze tedesco è sempre un tedesco». Quindi, nel contratto di governo, ha imposto alla Cancelliera di spendere 46 miliardi di euro per lo più per le famiglie, finanziandoli con il surplus commerciale che nella scorsa legislatura il governo aveva riversato ai migranti e alle imprese. Poi ha confermato tutto lo staff al ministero del suo predecessore, il falco Wolfang Schäuble. Il tutto mentre l'avanzata dei populisti di Alternative für Deutschland rende tabù nel dibattito politico l'europeismo della Merkel. Tanto che alcuni settori della Cdu sembrano più vicini alla Vienna di Kurtz o alla Budapest di Orban che alla Parigi di Macron.

È difficile che Parigi e Berlino trovino una mediazione che non si trasformi in un compromesso al ribasso. Ma questa debolezza non rafforza né le proposte di riforma della commissione - la stabilizzazione del Fiscal compact con i suoi rigori e le sue flessibilità ma temperato con un diverso calcolo del 3 per cento in base alla cosiddetta crescita potenziale come proposto da Padoan - o del fronte del nord Europa (Olanda, Finlandia, Irlanda, Estonia, Lituania, Lettonia, Danimarca e Svezia) che hanno chiesto più rigore, per esempio rendendo obbligatoria la riduzione del debito pubblico se un Paese finisce in crisi.

A Palazzo Chigi si sentono accerchiati.

E le cose sono soltanto destinate a peggiorare se nel prossimo governo non ci saranno partiti (Forza Italia e il Pd prossimo a entrare nel Ppe) ed esponenti graditi a Bruxelles. A maggior ragione dopo che Parigi e Berlino hanno proposto sull'immigrazione che tutte le procedure di asilo vengano svolte nei porti e negli aeroporti dove sbarcano i migranti, condannando così Paesi come la stessa Italia o la Grecia ad accollarsi tutta le gestione dei profughi. In quest'ottica è nata un'alleanza tra Roma, Madrid, Atene, La Valletta e Nicosia, che nasce già con le armi spuntate. Se non bastasse l'anno prossimo il Belpaese perderà le sue avanguardie nella Ue (Draghi alla testa della Bce e Antonio Tajani alla presidenza dell'Europarlamento). Il tutto mentre la Merkel, per di tenere in piedi il motore franco-tedesco offre a Macron sia l'ingresso nel partito popolare europeo sia la sia la guida dell'aula di Strasburgo, guidata come detto dal nostro Tajani.

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