Liberato, Piedigrotta hip hop

Liberato, Piedigrotta hip hop
di Federico Vacalebre
Giovedì 10 Maggio 2018, 09:38 - Ultimo agg. 11 Maggio, 12:14
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Ho visto Liberato a pochi metri da me, mentre scendeva dall’imbarcazione che l’ha portato alla rotonda Diaz, confuso tra 4-5 ragazzi vestiti/nascosti come lui: felpa nera, cappuccio calato in testa, fazzoletto a coprire mezzo volto, gli occhi a guardarsi intorno per capire se c’erano davvero ventimila, e forse più, persone, ad aspettarlo/i. Ho visto Liberato, l’ho sentito cantare, sicuro di sé alle prese con i suoi pezzi, un po’ meno nel momento dell’omaggio a Pino Daniele («Quanno chiove») intonato a cappella, tra la sorpresa dei giovanissimi («waaaaa, è un inedito, che bomba») e l’emozione di noi reduci.
 
Ho visto Liberato, l’ho ascoltato, ho persino ballato con la folla della prima Piedigrotta hip hop che si ricordi, ma continuo a non sapere chi è, e sono convinto anche che possiamo escludere tutti i nomi finora tirati in ballo da noi liberatologi. Lui - sì, è un maschio, possiamo azzardare almeno questo - si è mostrato senza mostrarsi, usando anche la postura e il fumo del light show per conservare l’anonimato su cui ha costruito, in un anno, un successo crescente, non più solo di culto: passo dopo passo, pezzo dopo pezzo, mistero dopo mistero.
Nel «Nove maggio» evocato dal brano di esordio e dalla data sul calendario è salito sul palco tra due simil-Liberato, che pestavano sulle percussioni elettroniche, si davano da fare con i synth, confondevano ancor di più le idee agli scugnizzi e le scugnizze che lo acclamavano e lo riprendevano con il telefonino, non si sa mai che, poi, ingrandendo l’immagine non si scopra che si tratta del figlio di Concetta, la vicina di casa. 
 
 

E con «Nove maggio» lo show è iniziato, naturalmente, dopo un saluto alla folla sincero, sfuggito dal cuore: «Comme cazzo site belle!». Il percorso tra i suoni urban newpolitani, peraltro accennato con più nostalgia sin dal dj set iniziale dei Nu Guinea, è continuato secco, senza chiacchiere tra un brano e l’altro, senza ordine cronologico - sei le canzoni finora lanciate, sei le canzoni in scaletta, quaranta minuti circa - e senza nemmeno badare alla possibile sequenza delle storie narrate dal testo e ancor più dalle immagini dei video: «Intostreet» e «Je te voglio bene assaje» sono appena uscite, la platea le conosce di meno, ne ha intonato solo i ritornelli, prima di tornare in modalità karaoke collettivo per «Gaiola portafortuna», «Me staje appennen’ amo’» e il gran finale di «Tu t’’è scurdat’ ‘e me».

Liberato non se la scorderà presto questa sera, è andato via per il mare com’era arrivato, mentre i ragazzi confusi («già finito?») e felici («fighissimo!») provavano a continuare la festa da qualche altra parte. Tenera è stata per loro la notte aperta dalle note del Banksy trap che ha gettato un ponte tra «’A discoteca» e «’O vient’», tra «Yes I know my way» e «’Nu juorno buono». Il rap dell’Uomo Misterioso è insieme melodico e postmoderno, «Tu t’è scurdat’ ‘e me» sul lungomare ha evidenziato il pegno pagato al reggae/dub degli Almamegretta, «Gaiola portafortuna» confermato il suo piglio più latino. Per ogni spettatore c’era un cellulare che riprendeva e un social che rilanciava, in attesa di like, condivisioni, discussioni sull’identità dell’artista che ha liberato il lungomare liberato dalla noia di una normale sera di maggio.

Io ho visto Liberato, non so chi è e non mi batte il corazon, ma so che l’operazione messa in piede dimostra come possa esistere un modernissimo mainstream partenopeo capace di imporre nuovamente all’Italia il nostro dialetto/lingua, altrimenti inviso ai grandi network radiofonici, e di veicolare una nuova oleografia napoletana, frutto, oltre che del sound, di passione calcistica, stilosità casual (Converse ai piedi per tutti nel backstage: è lo sponsor che ha pagato tutto), veracità sensuale: com’erano belli, sfrontati e semplici i ragazzi e le ragazze dei clip diretti da Lettieri al loro primo giorno da divi del vicolo accanto, «selfiatissimi», vista l’impossibilità di «selfiarsi» con Liberato.
 


 
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