Maria Pirro
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Cucinotta: la mia corsa anti-cancro

Cucinotta: la mia corsa anti-cancro
Maria Pirrodi Maria Pirro
Giovedì 24 Maggio 2018, 17:21 - Ultimo agg. 29 Gennaio, 15:28
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Il primo passo è partecipare agli screening per la diagnosi precoce contro il cancro al seno. «Mia mamma si è salvata grazie alla prevenzione», racconta Maria Grazia Cucinotta, ieri alla maratona con partenza dal Circo Massimo a Roma. Un'occasione per dire che «questo male si può sconfiggere», ribadisce l'attrice in qualità di testimonial di Race, la gara organizzata da Susan G. Komen Italia, cui è associato il programma Victoria, creato da P&G per le over 50.

Qual è il messaggio che rivolge alle donne?
«Che dobbiamo sforzarci e fare i controlli. Corriamo dalla mattina alla sera tra casa e lavoro, così dimentichiamo di prenderci cura di noi stesse o facciamo finta di niente, per paura o presunzione. E invece, dobbiamo farci aiutare dai medici».
Lei lo fa?
«Mia mamma è stata un'ottima insegnante».
Personaggi televisivi, dalla iena Nadia Toffa all'attrice Cristina Donadio, parlano di come hanno affrontato questa malattia. Condivide la scelta?
«Tutto ciò serve a far capire che nessuno è invincibile: questo male purtroppo è democratico, non si sa mai come quando e perché colpisce, e la sua incidenza spaventosa, anche se si guarisce più di 25 anni fa».
Restano grandi differenze nelle cure tra le regioni.
«Sopravviviamo al Sud grazie al grande cuore delle persone, ma siamo molto penalizzati dalla politica: medici bravi lavorano in condizioni davvero precarie, ammalati già afflitti dalla neoplasia devono affrontare anche il disagio del viaggio per i trattamenti sanitari fuori regione. Ma tutto ciò incide negativamente nel percorso di guarigione: dire che chi nasce nel Meridione è serie b non è lamentela ma un dato di fatto. Anche per questo è importante la carovana della salute di Komen, nelle carceri e nei centri abitati dove non c'è possibilità di fare i controlli».
Un altro problema è la violenza sulle donne: la ragazza pachistana, portata con l'inganno dalla famiglia in patria da Verona e costretta ad abortire, è stata da poco liberata.
«La violenza purtroppo uccide quanto la malattia. Ancora oggi è come se la vita delle donne appartenesse a qualcun altro: in certi paesi per motivi religiosi o governativi, da noi a causa della mentalità, che è un'altra prigione, in particolare al Sud, dove le difficoltà negli spostamenti rendono più difficile creare occasioni di confronto».
Il 22 maggio ricorrono i 40 anni dalla legge sull'aborto. Che ne pensa?
«Ognuno deve essere libero di fare ciò che vuole, la maternità è una scelta, diventare genitore significa assumere un ruolo con importanti responsabilità. Ma esiste anche la prevenzione, che è sempre la soluzione migliore».
Lei ha abitato anche in America, patria del movimento Metoo, che denuncia forme diverse di costrizione, sessuali e psicologiche, praticate dalle star di Hollywood.
«Lì c'è un'esagerazione da ambe le parti ma ora un uomo ha addirittura paura di guardare una donna, se le fa un complimento sul set può essere denunciato. In base alla mia esperienza, nel corso degli anni, mi è capitato di dover dire no alle avance e non ottenere il lavoro, mai mi sono sentita, però, una pistola puntata alla tempia».
E in Italia?
«Nessuno mi è mai saltato addosso, ma può sembrare scontato che una ragazzina, che fa l'attrice, debba dire di sì: tutto sta nel non cedere».

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