Biagio Antonacci e le sue prime volte: «Quando il marito di Mara Maionchi mi disse "Fai schifo"»

Biagio Antonacci e le sue prime volte: «Quando il marito di Mara Maionchi mi disse "Fai schifo"»
Martedì 10 Luglio 2018, 19:13 - Ultimo agg. 19:22
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In un mondo «in cui dominano l’ipocrisia e la preoccupazione del giudizio altrui», Biagio Antonacci, intona il proprio inno alla libertà. A quasi 55 anni, reduce da un disco e da un tour trionfali, si racconta a Vanity Fair, in edicola dall’ 11 luglio, e invita a liberarsi dai conformismi: «Ai miei figli dico sempre di rispettare gli altri, ma di provare a essere liberi con loro stessi e con i loro desideri».



Della sua infanzia ricorda: «Papà era povero, arrivò da emigrante a Milano e dormiva nei palazzi in costruzione. La parola povertà la conosco perché siamo stati spesso sul suo ciglio. Ci chiamavano terroni e questa cosa ci ha scatenato dentro un senso di rivalsa. Ci ha fatto dire: “Ve la faremo vedere”. Sono cresciuto nel Bronx, tra scorribande e risse. Eravamo i ragazzi della Via Pal noi di Rozzano. Quando dicevamo “vengo da lì” sul volto degli altri si formava un’espressione di disgusto. Sono stato geometra tirocinante e nelle pause suonavo per quelli dell’ufficio animando la sera i piano bar o le budinerie dei navigli. Alberto Salerno, il marito di Mara Maionchi e lo scopritore di Eros Ramazzotti ascoltò i miei primi pezzi e mi disse: “Fanno schifo”, ma io ho sempre pensato che i pazzi fossero loro e che in realtà avevo talento. Ma riconosco di non aver mai mollato nonostante le tante porte in faccia. I primi soldi che ricevetti mi parvero un errore perché la fortuna, ai poveri, sembra sempre uno sbaglio. Quando arrivò dalla Siae un assegno da 20 milioni mia madre mi disse “chiama la Polizia, ti fanno la multa, non sono soldi tuoi”. Le risposi di stare calma: “Non chiamo un cazzo di nessuno mamma, quei soldi sono miei”».

La sua prima grande gioia e il suo primo senso di colpa sono entrambi legati alla nascita del fratello: «I mesi più drammatici della mia vita furono quando nacque mio fratello Graziano. Avevo la Rosolia e temevo di trasmetterla al bambino che mia madre teneva in grembo e aveva aspettato per dieci anni, Il senso di colpa elaborato in quei mesi me lo sono portato dietro per tutta la vita. È il peggiore dei sentimenti, il più inutile, il più inspiegabile. Lo trasmetti ai figli ed è un prodotto del benessere. Mio nonno, sette figli, al senso di colpa non aveva modo di pensare. Invito tutti a godere e a non pentirsi. Mettetelo nel cassetto, il senso di colpa».

Su come sia cambiato “l’amore” nel corso dei decenni, racconta: «All’inizio avevo relazioni lunghe anche quando capivo che l’amore era finito: una follia. Ora sto con una ragazza, Paola, da 14 anni e sogno spesso una libertà che però nei fatti sono incapace di raggiungere. Con Paola ci scegliamo ogni giorno, ma quando finirà finirà per lei. Le donne sanno abbandonare meglio degli uomini».

Nell’intervista Antonacci fa il bilancio della propria carriera e della propria vita: «Sono stato sempre conservatore, ma la mia libertà adesso è lasciare una tavola e alzarmi di scatto quando qualcuno mi sta sulle palle.
Sogno sempre di essere da un’altra parte, non riesco mai a godermi niente fino in fondo. Vorrei essere più pragmatico e organizzato, ma è contro la mia natura. L’unica cosa che non smetto di fare è la musica, è come il sesso, non se ne può fare a meno. Sogno di restituire la fortuna che ho avuto, far crescere talenti, aprire una fondazione. L’affetto del pubblico? Ci sono quelli che mi amano, quelli a cui sto sul cazzo e ci sono gli agnostici. Mi sta bene così».
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