Napoli, il sogno svanito di Salvatore e la generazione disposta a tutto

di Luigi Covatta
Giovedì 12 Luglio 2018, 10:00 - Ultimo agg. 10:03
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Mentre Cristiano Ronaldo (Cr7, per usare il nome di un uomo diventato brand) sbarcava a Torino, a Napoli un suo potenziale emulo, con dieci anni ed alcune centinaia di milioni di meno, precipitava dal quinto piano. Si chiamava Salvatore Caliano, ed in attesa di diventare un campione stava pulendo il lucernario di un palazzo su incarico di un'anziana conoscente: non dell'amministratore del condominio, che altrimenti (si spera) avrebbe provveduto a fornirlo di un adeguato corredo di sicurezza.

Dubito, in questo caso, che se ci fossero stati ancora i voucher il ragazzo si sarebbe salvato (e dubito ancora di più che il committente li avrebbe usati). Non ho dubbi, invece, sull'irresponsabilità con cui ciascuno di noi usa quotidianamente beni e servizi di cui dispone senza curarsi minimamente dell'impatto che quest'uso può avere sugli altri (vicini, piccoli fornitori o passanti che siano): e sull'opportunità che per esempio l'uso dei fabbricati venga condizionato dalle stesse tutele che condizionano l'uso delle automobili (o delle armi, finché restano in piedi).

La tragedia, tuttavia, induce a considerazioni più generali. Possibile che per il povero Salvatore fra la realtà dei lavoretti ed il sogno della fama sportiva non ci fossero tappe intermedie? Che si alimentino, cioè, soltanto aspettative probabilmente irrealizzabili, invece di offrire opportunità di lavoro e di formazione alla portata di tutti?

Che fra lo star system e l'arte di arrangiarsi, nell'immaginario giovanile, non ci sia proprio nient'altro? SI dirà che c'è la crisi. Ma nei telegiornali abbiamo visto le file di giovani davanti allo stadio della Juventus per acquistare (al prezzo di 150 euro cadauna) le magliette col numero 7: e se il fenomeno fosse sbarcato a Napoli le avremmo sicuramente viste anche davanti al San Paolo. Si dirà anche che ci sarà il reddito di cittadinanza: ma saranno soldi buttati, se ad esso corrisponderà soltanto l'obbligo di svolgere inutili lavori socialmente utili, e non un'offerta di formazione e di avviamento al lavoro degna di questo nome.

Non so se il povero Salvatore fosse un Neet (Not engaged in education, employment or training, non impegnato nell'educazione, nel lavoro o nella formazione): probabilmente no, visto che un lavoro più o meno regolare ce l'aveva. Quello che so, però, è che oggi sono troppi i giovani disposti a tutto, anche ad arrampicarsi su un lucernario al quinto piano: e so anche che la loro dignità non si garantisce per decreto.

Si conquista invece giorno per giorno: da un lato, quello dell'offerta, abbandonando il luogo comune per cui non occorrono competenze per pulire un lucernario o per realizzare altre opere di manutenzione; dall'altro, quello della domanda, pretendendo adeguati servizi all'impiego, imparando mestieri non occasionali, cercando lavoro con conoscenza di causa. Questa è la dignità del lavoro, anche del più umile.

L'augurio comunque è che il tragico episodio valga a mobilitare una generazione finora troppo rassegnata ai lavoretti. In nome di Salvatore Caliano si può voltare pagina: in fondo cinquant'anni fa ci si mobilitò per molto meno.
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