Autonomia, il Veneto in fuga con la cassa: l'Italia divisa tra ricchi e poveri

Autonomia, il Veneto in fuga con la cassa: l'Italia divisa tra ricchi e poveri
di Marco Esposito
Giovedì 26 Luglio 2018, 11:00 - Ultimo agg. 15:34
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I territori ricchi hanno più diritti degli altri. La Costituzione dice una cosa un po' diversa, ma il Veneto è convinto che «il principio costituzionale di uguaglianza» preveda tre componenti: la «popolazione residente», le «caratteristiche territoriali» (fin qui è ovvio) e «il gettito dei tributi maturato nel territorio nazionale». Quindi dove c'è più gettito, ci saranno più soldi per i diritti essenziali nell'istruzione, nella sanità, nella protezione civile e in tutte le 22 materie che il Veneto vuole siano trasferite dallo Stato centrale alla Regione. La proposta del trevigiano Luca Zaia è stata consegnata al ministro degli Affari regionali, la vicentina Erika Stefani, con l'obiettivo di fare del Veneto il capofila nella corsa alle maggiori autonomie, sulla scorta del successo del referendum consultivo del 22 ottobre 2017, al quale partecipò il 57,2% degli aventi diritto, con una valanga di 98,1% di sì. In Lombardia la partecipazione fu tiepida: 38,2%.
 
Proprio oggi il presidente della Lombardia Attilio Fontana incontrerà a Roma la Stefani per consegnare il suo dossier di 90 pagine. Anche i lombardi, come i veneti, hanno alzato l'asticella passando dalle cinque materie dell'accordo con il governo Gentiloni del 28 febbraio scorso a 22. E anche per la Lombardia il nodo centrale è il denaro. Nessun dubbio sulla partenza: quello che lo Stato spendeva per le funzioni da trasferire, va consegnato alle Regioni augurandosi che sappiano gestirlo meglio. Il punto è lo step successivo. In cinque anni si dovrà passare dalla spesa storica ai fabbisogni standard, ovvero a calcoli degli effettivi fabbisogni dei territori. Un conteggio che - fatto con serietà e approvando i Lep (livelli essenziali delle prestazioni) da garantire in tutto il territorio nazionale - permette di definire con precisione i reali bisogni di un territorio. Ma il Veneto prova a mescolare le carte sul tavolo e andare in fuga con la cassa, introducendo con astuzia tra i fabbisogni il gettito fiscale superiore alla media nazionale, il quale tuttavia non è un indicatore di bisogno ma semmai di agiatezza.

Zaia, del resto, non ha mai nascosto il fatto che l'obiettivo reale dei veneti comprendesse l'aumento delle risorse da spendere nel territorio. Tuttavia la sua richiesta rischia di rendere più complesso il tavolo della Stefani, al quale ormai stanno per sedersi quasi tutte le Regioni italiane: addirittura tredici sulle quindici a statuto ordinario.

Al Veneto, che attualmente è capofila, e alla Lombardia, è già affiancata l'Emilia Romagna, che proprio ieri ha deciso di ritoccare la propria richiesta incrementando le materie a quindici con l'aggiunta di agricoltura, protezione della fauna selvatica ed esercizio dell'attività venatoria, acquacoltura, cultura, spettacolo e sport. Inoltre hanno formalizzato al governo la richiesta di maggiore autonomia ben sette regioni: Campania, Lazio, Liguria, Marche, Piemonte, Toscana e Umbria. Puglia, Basilicata e Calabria hanno avviato la procedura. In pratica di Regioni ordinarie resterebbero soltanto Abruzzo e Molise.

La Campania, fra tutte le richiedenti, è la meno ambiziosa. Le materie indicate sono soltanto tre: sanità; beni culturali e paesaggistici; tutela dell'ambiente e dell'ecosistema. Nella mozione del Consiglio regionale si lascia spazio a ulteriori materie perché si chiude il documento con la formula «nonché a quelle che verranno individuate nel corso del procedimento istruttorio».

La materie, del resto, non vanno solo enunciate ma va definito nel dettaglio cosa spetti alla Regione. Il disegno di legge consegnato da Zaia a Stefani contiene per esempio la gestione regionale del personale scolastico, cioè concorsi e trasferimenti gestiti a Venezia.

Una volta trovato l'accordo fra governo e Regione, toccherà al Parlamento dire la parola definitiva. Il testo però non potrà essere emendato: soltanto approvato o bocciato in blocco dalla Camera e dal Senato. Ecco perché le scelte della Stefani saranno decisive: la sua legge potrà dividere l'Italia dei diritti in ricchi e poveri. Più di quanto non lo sia già.
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