Il gran ritorno di Alanis Morissette: «Le mie canzoni a Broadway»

Il gran ritorno di Alanis Morissette: «Le mie canzoni a Broadway»
di Andrea Spinelli
Domenica 29 Luglio 2018, 15:02
3 Minuti di Lettura
Per sfuggire ai fantasmi di un passato esaltante, ma non sempre felice, Alanis Morissette ha venduto lo scorso autunno (per 5,325 milioni di dollari) la casa di Brentwood dove ha vissuto 21 anni per accasarsi a Malibu col marito-rapper Mario «Souleye» Treadway e i due figli. L'ultimo passaggio di un rinascita che l'ha un po' sconnessa da quel mondo con cui sta riallacciando i contatti grazie al tour che l'ha appena portata anche a Roma, Pistoia e Milano, nell'attesa di tornare sul mercato del disco con un nuovo album, il primo da sei anni a questa parte.

Alanis, a che punto è la lavorazione del disco?
«L'ho scritto tutto da sola, nella mia nuova casa. Pensavo che avrebbe potuto essere un disco voce e pianoforte e per questo l'ho chiamato a lungo A piano record, ma ora penso che prenderà un'altra strada, perché ho già scritto 23 canzoni, ma prima di scegliere le 11-13 della versione definitiva vorrei comporne altre due o tre sulla spinta che mi hanno dato questi concerti europei. Sono comunque intenzionata a chiudere la fase creativa entro l'autunno».

Frattanto «Jagged little pill», il suo album più famoso è diventato un musical.
«Mi ci sono voluti otto anni per portarlo in scena. Sono, infatti, abituata a lavorare da sola e c'è voluto del tempo per imparare ad interagire col librettista Diablo Cody e con la regista Diane Paulus. Non ero abituata, infatti, ad affidarmi ad altri. È stato, comunque, meraviglioso perché ne è nata una bella, adorabile, piacevolissima creatura».

State pianificando il debutto a Broadway?
«Questa è l'intenzione. Speriamo di farcela nel 2019. Intanto Jagged little pill va in scena a Cambridge, nel Massachusetts».

 

È vero che sta lavorando anche alla sua autobiografia?
«Anche se ci sono diversi richiami alla mia vita, allo stato attuale della lavorazione non so se la chiamerei biografia: ho scritto circa 300 pagine ma ora devo rileggere tutto con attenzione per scegliere i passaggi più significativi e le idee migliori in vista della stesura definitiva. Non finirò prima del prossimo anno, quindi in contemporanea col nuovo album, vorrei, infatti, pubblicare entrambi contemporaneamente».

Figli, matrimonio, in questi anni le sono successe molte cose. Che persona pensa di essere diventata?
«Una donna con diversi cappelli: mamma, boss, leader, attivista, artista, moglie, amica, avventuriera, viaggiatrice; mi piacciono tutte queste diverse prospettive di vita per le sfide che si portano dietro».

Nelle prime canzoni parlava di sesso come un maschio, ora non più. Sono cambiati i tempi o è cambiata lei?
«Ora ne parlo più da donna, perché vedo le cose in maniera diversa. Quando approccio il mio corpo, i miei ormoni, la mia sessualità, lo faccio come parte di un'avventura romantica, di una Alanis finalmente in sintonia con se stessa. Chiamiamola, quindi, conquista dell'età. Anche se rimangono dei momenti in cui mi sento super-femminile e degli altri un maschiaccio. Dipende dal momento».

Nel 2002 in «Hands clean» parlava della relazione tra una ragazzina e un uomo col doppio dei suoi anni. Ha poi ammesso che quell'adolescente era lei. Quanto pensa che una nuova sensibilità in tema di diritti violati abbia contribuito a cambiare la situazione rispetto a quando l'ha scritta?
«Penso che la presa di coscienza e l'opera di movimenti come #MeToo siano qualcosa di meraviglioso. Perché finora ci sono stati troppo silenzio, troppi abusi, troppo patriarcato. Per le donne sentirsi unite pur nella diversità culturale e di genere è bellissimo. Di fatto siamo fiocchi di neve, uno diverso dall'altro, ma originati dalla stessa acqua, e dobbiamo andare tutte nella stessa direzione».

Quattro anni fa ha scritto «Today» per la campagna elettorale della scrittrice Marianne Williamson che voleva portare più spiritualità nella politica.
«Il credo politico poggia sulle convinzioni spirituali, sulla certezza che connessione e unità siano i mezzi migliori per stare al riparo dai conflitti. Il nostro sistema di valori, infatti, beneficerebbe molto se in giro ci fosse meno sofferenza e fossimo meno depressi».
 
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