​La guerra giusta di Massimo Bottura all’Onu: «Cibo, stop agli sprechi»

La guerra giusta di Massimo Bottura all’Onu: «Cibo, stop agli sprechi»
di Luca Marfé
Lunedì 30 Luglio 2018, 13:00
5 Minuti di Lettura

NEW YORK - Tra le mura del Palazzo di Vetro per una guerra bella, giusta: quella contro lo spreco del cibo. Massimo Bottura torna a New York dopo essere stato incoronato al vertice della prestigiosa graduatoria dei The World’s 50 Best Restaurants. Suo, infatti, il primo ristorante al mondo.
 


Il tema è delicato e a queste latitudini sta molto a cuore ai grandi della Terra. Al centro del dibattito l’agricoltura, considerato il settore chiave in termini di impatto ambientale. Sia per quanto riguarda lo sfruttamento e l’impiego delle risorse naturali, sia per quelle che sono le conseguenze di un processo sempre più articolato: inquinamento e cambiamenti climatici.

Ancor più allarmante è la breccia tra ciò che viene prodotto e ciò che viene effettivamente consumato.

Circa 800 milioni di persone non hanno di che mangiare. Ogni anno, parallelamente, un miliardo e trecento milioni di tonnellate di cibo vengono buttate o comunque si deteriorano.

Lo spreco, dunque, è un doppio colpo, morale e ambientale. Nonché economico. Sta diventando, insomma, una vera e propria emergenza del nostro tempo.

Bottura lo sa. Lo sa da molto prima di queste strette di mano, di questi incontri istituzionali. Lo sa dall’alba di una lunga fase di vigilia dell’Expo, l’esposizione universale che si è svolta a Milano nel 2015. È stato proprio lì che ha deciso di rivoluzionare la cucina più alta affinché potesse tendere una mano a chiunque. E non in un gesto di carità, ma in un’atmosfera di servizio, di livello altrettanto alto. Meglio ancora se mescolato con ciò che, senza il suo tocco, sarebbe finito in un bidone della spazzatura.

Sorride a tutti, parla al telefono un attimo prima di concedersi a domande e telecamere. Dietro al vetro degli occhiali, un’inquietudine di fondo che anima il suo sguardo. L’inquietudine di chi, oramai ben al di là dei propri affari, vuole cambiare il mondo. Salvarlo da se stesso.



«Dall’Osteria Francescana di Modena fino alle Nazioni Unite. Innanzitutto benvenuto».
«Grazie, qui a New York mi sento a casa. All’Onu, invece, è la prima volta. Splendida emozione».

«Combattere lo spreco del cibo, un tema sensibile, addirittura fondamentale. Che cosa si può fare di concreto?»
«Quello che stiamo già facendo noi. Durante l’esposizione universale lo abbiamo dimostrato. Le statistiche parlano chiaro: produciamo cibo per 12 miliardi di persone, ma circa un miliardo di individui non ha nulla da mangiare. Sprechiamo quasi un miliardo e mezzo di tonnellate di cibo ogni anno. Per produrre questo miliardo e mezzo, cioè il 33% della produzione mondiale, sprechiamo energia, capitale umano, acqua. E poi? Cosa facciamo? Buttiamo e bruciamo tutto. E inquiniamo. Perché cibo e spreco sono tra le maggiori cause di inquinamento del pianeta. Qualcosa di assolutamente fuori dal tempo, insomma. Una follia».

Scuote la testa. Poi riprende con fare deciso.
«E allora, durante l’Expo abbiamo avuto questa idea: noi cuochi abbiamo deciso di metterci insieme, ci siamo concentrati sul coraggio di osare, sulla qualità. Delle idee e del cibo. Abbiamo strutturato e ristrutturato questo spazio, recuperando un'architettura abbandonata a Milano da cui è venuto fuori un luogo meraviglioso: il Refettorio. Architetti, designer, artisti, ciascuno con il suo tocco, con la sua zampata. E tutti quanti noi a cucinare ciò che in un attimo si sarebbe trasformato in inevitabile spreco. Per le persone più bisognose, in molti casi per dei senzatetto, per gli immigrati, per i rifugiati. Ma mai per carità, sempre e soltanto per spirito di servizio. Perché il cibo è prima di tutto amore».

Gli brillano gli occhi.
«Questo progetto ha tre valori fondamentali: uno è la qualità delle idee, appunto, i cuochi che si mettono a disposizione del mondo intero e che mettono in gioco la loro conoscenza, la loro creatività e il loro tempo per trasformare, per rendere visibile l’invisibile, per stravolgere ciò che gli altri pensano sia già da buttare. Dal nostro punto di vista? Una straordinaria opportunità di fare bene e di fare del bene. Una trasformazione meravigliosa di pasti meravigliosi».

È un fiume in piena, una visione in carne ed ossa.
«Qualità delle idee e potenza della bellezza. La bellezza di ciò che hanno creato che va ben oltre i nostri piatti. Perché entrare in un luogo bello è bello per l’anima. Non di solo pane si nutre l’uomo. E quindi fa bene anche a tutto il quartiere. Ed è attraverso questa rivoluzione della bellezza che si riesce a ricostruire la dignità delle persone».

«Quali sono i valori che ispirano questo “viaggio”?»
«Il sentimento, l’ospitalità. Non ci serve una mensa come tutte le altre. Ci serve una mensa in cui i piatti vengano preparati con amore e vengano serviti a tavola con professionalità, con il giusto tono. Esattamente come avviene nei nostri ristoranti. È questo che fa la differenza. La cucina è cucina. E cucinare è vita, è affetto. Sia che tu lo faccia nel tuo ristorante, magari con tre stelle Michelin indosso, sia che tu lo faccia in una mensa per persone che hanno bisogno di un gesto di vicinanza. Il valore è lo stesso, deve essere lo stesso».

«Un’ultima battuta: com’è stato recepito questo progetto qui alle Nazioni Unite e che cosa ha detto ai tanti volti internazionali incrociati per i corridoi del tempio della diplomazia mondiale?»
«Be’, essere qui vuol dire che si sono accorti di noi, di ciò che è diventato ormai un movimento globale. Io sono appena tornato dal Colorado, dove ho incontrato il governatore che ha espresso il desiderio di ospitare un refettorio pure a Denver. Ho visto delle cose assai toccanti. Cosi come a Merida o a Tessalonica o a San Francisco o a New York. È di questo che voglio parlare. Voglio provare a spiegare a chiunque la mia visione della lotta allo spreco affinché questa eredità possa sopravvivere alla mia persona e alla mia storia. Il sogno è che altri la sentano propria, la portino avanti anche dopo di me. Nel frattempo, nel mio piccolo, spero di essere un valido esempio per i giovani cuochi che nutrono l’ambizione di relazionarsi con l’universo della cucina in maniera diversa. Che sognano di farlo con testa e cuore».

Complimenti, Bottura. Per le stelle, per la cucina, ma soprattutto all’uomo.
A Massimo.

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