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«Quella che impropriamente viene chiamata 'bomba d'acquà, e che noi tecnicamente chiamiamo flash flood, è un fenomeno frequente in Calabria e nelle regioni meridionali - spiega - non è altro che un acquazzone tardo estivo che riversa grandi quantità di acqua in aree molto localizzate, ma è un fenomeno che in estate ci aspettiamo e, quando succede, i tempi di corrivazione (cioè il tempo che impiega una particella d'acqua ad arrivare da monte a valle) sono molto rapidi. Se a questo si aggiunge la sorta di 'imbutò in corrispondenza del ponte del diavolo, la situazione degenera le conseguenze che purtroppo conosciamo».
«In questi giorni - ricorda il geologo - c'era allerta gialla, la giornata insomma non era indicata per questo tipo di escursioni ma c'erano comunque persone nelle gole del Raganello che sono valli profonde con tratti molto stretti e fianchi di roccia calcarea».
Per il presidente dei geologi calabresi, per evitare la tragedia «sarebbe bastato avere un sistema di monitoraggio a monte che funzionasse da 'semaforo rossò per i turisti, impedendo loro di accedere». Sistema di monitoraggio che, però, è assente in un'area «che negli anni è diventata un'attrazione turistica perché è meravigliosa, ma che è anche una zona piena di pericoli». «Il problema è che quello non è un sito facile, non è un'area per dilettanti, andare in questi posti non è come andare all'acquapark. E una zona di questo tipo non può essere lasciata alla fruizione senza controllo di chi pensa di andare a fare una scampagnata», conclude il geologo.