Presìdi slow food, dalla Campania le «new entry»

Presìdi slow food, dalla Campania le «new entry»
di Luciano Pignataro
Sabato 1 Settembre 2018, 08:30
3 Minuti di Lettura
Dieci nuovi presidi su 22. Questo è il biglietto da visita con cui la Campania si presenta al nuovo appuntamento di «Terra Madre», organizzato da Slow Food al Lingotto di Torino dal 20 al 24 settembre. Una doppia conferma: della straordinaria biodiversità della regione conservata sino ad oggi e della qualità degli sforzi compiuti dalla leadership regionale di Slow Food, diretta in questi anni da Giuseppe Orefice, passato adesso alla direzione nazionale dopo l'ultimo congresso di Montecatini.

In questo modo la Campania consolida la sua posizione nel mondo Slow. Non è un caso, forse, che questa idea sia stata lanciata da Carlo Petrini, fondatore del movimento, in un convegno a Positano nel 1998. In questo vent'anni i Presìdi hanno sostenuto le piccole produzioni tradizionali che rischiavano di scomparire, valorizzando i territori e recuperando antichi mestieri e tecniche di lavorazione, salvando dall'estinzione razze autoctone e varietà di ortaggi e frutta. Oggi, sono oltre l500 i Presìdi Slow Food coinvolgono più di 13.000 produttori.
 
L'adesione al progetto presuppone anche l'adesione a un disciplinare molto preciso che viene verificato di continuo. In Campania la loro esistenza è stata fondamentale in alcuni epidosi clou, a cominciare dalla creazione del presidio del pomodoro San Marzano pensata dagli allora dirigenti Rita Abagnale e Vito Puglia, ex vicepresidente nazionale: un'idea che ha realmente salvato questo ecotipo dalla estinzione in un momento in cui la grande industria conserviera si era rivolta ad altri tipi. In sostanza, nella storia politica dell'associazione, la creazione di questi presidi segnò il passaggio dalla tavola alla produzione estendendo il ragionamento non solo al buon mangiare ma anche al buon produrre, spingendo appunto in direzione della tutela della biodiversità e dell'agricoltura pulita e remunerativa. Una prassi poi consolidata dal fortunato slogan, che è anche il titolo del libro-manifesto scritto da Petrini, «Buono Pulito e Giusto».

L'esistenza di un presidio del pomodoro San Marzano e del pomodorino del piennolo del Vesuvio è stata fondamentale durante la crisi della diossina quando tutta l'ortofrutta campana finì sul banco degli imputati senza avere nessuna colpa e, soprattutto, senza nessuna motivazione scientifica. Le analisi effettuate dai responsabili dei presidi, oltre che dell'Istituto Zooprofilattico diretto da Antonio Limone davano infatti risultati più che rassicuranti. Oggi questi due presìdi non hanno più ragione di essere grazie al coinvolgimento di trattorie, cuochi e pizzaioli. Ed è proprio nel fenomeno delle crescita delle pizzerie che si può spiegare la forte spinta campana a creare nuovi presìdi. I volumi della qualità della stragrande maggioranza delle pizzerie, ce ne sono circa 4000 in regione, riescono infatti a garantire reddito e consumo ai piccoli produttori che non devono aspettare tempi lunghi per i pagamenti finendo poi per dover ricorrere al credito bancario. Una economia virtuosa, insomma, condotta con decisione e che ha creato un circuito positivo adesso definito Comunità del Cibo.

Le cinque province campane sono tutte presenti in questa corsa, una piccola grande rivoluzione silenziosa resa possibile dalla presenza capillare delle condotte Slow Food su tutto il territorio. Dalle carni ai frutti, dai legumi ai metodi di preparazione della pasta, praticamente gli antichi saperi della nostra regione, una vera superpotenza in campo gastronomico, riescono a sopravvivere oltre i ricordi e le testimonianze facendo reddito e attirando i giovani.
© RIPRODUZIONE RISERVATA