Natalie Portman sbanca Venezia: «La mia fragile popstar nell'America violenta»

Natalie Portman sbanca Venezia: «La mia fragile popstar nell'America violenta»
di Titta Fiore
Mercoledì 5 Settembre 2018, 10:00
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VENEZIA - Non sarà facile per la giuria guidata da Guillermo Del Toro assegnare la Coppa Volpi alla migliore attrice, le performance da premio sono tante e anche in un film meno riuscito di altri come «Vox Lux» di Brady Corbet, accolto dalla stampa con parecchi dissensi, un talento come quello di Natalie Portman fa comunque la differenza. Per lei solo applausi sul tappeto rosso e alla proiezione di gala. La diva israelo-americana, premio Oscar nel 2010 per il film «Il cigno nero» nel ruolo di una ballerina classica mentalmente instabile, torna quest'anno alla Mostra nei panni di una popstar adorata dalle fan come Madonna o Selena Gomez, ma altrettanto squilibrata. Sul suo passato di adolescente pesa l'incubo di una carneficina a scuola feroce quanto quella di Columbine e le conseguenze dello shock post-traumatico che la spingono a comportamenti svalvolati. Ma Celeste, così si chiama il personaggio, non è il mostro che appare nei rapporti con la figlia ragazza e la sorella-badante: «È il frutto delle contraddizioni del suo tempo, attraversa un secolo segnato dal male. Non la giudico per le sue debolezze, ho cercato di capirla».
 

Sullo sfondo di un romanzo di formazione, che il regista paragona a una favola «ansiogena», irrompono infatti le vicende più tragiche dell'ultimo ventennio: le stragi nei college, l'attentato alle Torri Gemelle, un attacco di terroristi mascherati contro bagnanti inermi. È stato proprio il tema della perdita dell'innocenza, di una singola persona o di una comunità, a rendere la sceneggiatura interessante agli occhi della diva: «Vengo da un Paese in cui la violenza fa parte della vita quotidiana e all'università ne ho studiato gli effetti sulla psicologia delle masse. Ma negli Stati Uniti, dove vivo, il clima è quasi da guerra civile e portare i bambini a scuola fa paura». Si può dire, allora, che «Vox Lux» si schiera contro la vendita delle armi? «Non è esatto, nel film non c'è un messaggio, c'è piuttosto il ritratto della società contemporanea, il racconto dell'intreccio perverso tra cultura pop, violenza e spettacolo».
 
In tuta di lurex e tatuaggi d'ordinanza, Portman canta e balla come in un videoclip. Le spettacolari coreografie sono opera di suo marito Benjamin Millepied, padre dei suoi due bambini, che gliele ha fatte provare anche a casa fino a raggiungere la perfezione: «Un bel vantaggio, no?». Recitare il ruolo di una popstar era il suo sogno, dice, come da copione. Ma tra una diva del cinema e una primadonna della musica c'è differenza? «Certo, una grande differenza: una cantante è sempre in giro per il mondo e così, per il lavoro, rischia di perdere la famiglia, invece noi attrici tra un film e l'altro ci fermiamo per lunghi periodi e possiamo seguire i nostri affetti più da vicino». E come si è preparata a diventare unA popstar? «Ho guardato molti documentari su questo genere di musica e ho imparato un sacco di cose su come muovermi, come occupare lo spazio al centro del palcoscenico. All'inizio avevo paura di lanciarmi nei numeri dello show, cantare e ballare insieme mi infastidiva, poi mi sono sciolta e mi sono divertita a cantare i brani scritti per noi dalla cantautrice israeliana Sia». Il film è dedicato a Jonathan Demme, perché Corbet? «Perché è l'uomo che mi ha cambiato la vita assegnandomi un premio in questo festival per il mio esordio nella regia con The Childhood of a leader. Amava molto i film musicali, sono sicuro che Vox Lux gli sarebbe piaciuto».
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