Solfatara, un anno dopo la tragedia resta il giallo della crosta fragile

Solfatara, un anno dopo la tragedia resta il giallo della crosta fragile
di Nello Mazzone
Martedì 11 Settembre 2018, 07:00
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I cancelli restano mestamente chiusi, mentre in lontananza a malapena si vedono gli sbuffi della terra ardente. L'area del cratere della Solfatara è ancora sotto sequestro, un anno dopo la tragedia dei coniugi Carrer e del loro Lorenzo, 11 anni, inghiottiti in una buca satura di gas. Da quel maledetto 12 settembre di un anno fa nessun turista ha messo più piede nell'area vulcanica: in attesa delle decisioni della magistratura, si fa largo l'ipotesi di riaprire in parte il sito ma in condizioni di massima sicurezza. Un complicato mosaico in cui ogni tessera deve incastrarsi tra mille insidie: da un lato ci sono i rilievi della procura di Napoli, che a luglio con i pm Anna Frasca e Giuliana Giuliano ha chiesto al gup Claudia Picciotti di procedere con una nuova perizia tecnica, da affidare a un collegio di periti esperti per fissare il quadro sullo stato di pericolosità del sito conosciuto in tutto il mondo e sulla presunta mancanza di condizioni, anche minime, di sicurezza. Dall'altro lato c'è la richiesta, che arriva dal mondo scientifico e da quello turistico-imprenditoriale e istituzionale, di consentire la riapertura dell'area naturalistica, nella quale si trovano i sensori dell'Ingv per monitorare il bradisisma e la temperatura delle viscere dei Campi Flegrei.
 
Su tutto questo aleggia il triste ricordo del 45enne Massimiliano Carrer, di sua moglie 42enne Tiziana e del loro primogenito Lorenzo: quel giorno di metà settembre una vacanza in famiglia si trasformò in un incubo dal quale si è salvato solo Alessio, il fratellino minore di Lorenzo, l'unico sopravvissuto della famiglia veneta originaria di Meolo. L'unico testimone oculare, ascoltato alcune settimane fa dai pm della procura di Napoli nel corso di un incidente probatorio per accertare le responsabilità di una triplice, assurda morte. Alessio, insieme alle zie e ai nonni, è stato personalmente invitato dal sindaco di Pozzuoli a partecipare domani alle 12 nel santuario di San Gennaro a Pozzuoli alla messa in ricordo delle vittime della Solfatara. Da Meolo hanno ringraziato la comunità flegrea per l'affetto dimostrato, ma nessuno se l'è sentita di tornare in quello che - per loro - è diventato un inferno di gas sulfurei e cunicoli. Un inferno che oggi i turisti guardano dall'alto, dai bordi del pendio San Gennaro a strapiombo sulle fumarole. Tutti in fila indiana, con gli occhi puntati sul nastro bianco e rosso che ancora svolazza ai bordi di quella macchia nera, nella quale morirono sul colpo i Carrer. Quella mattina i tre turisti furono uccisi dalle esalazioni dei gas, dopo l'apertura di una voragine forse provocata da forti piogge delle ore precedenti.

Sotto inchiesta con l'accusa di disastro colposo sono finiti Giorgio Angarano, amministratore della Vulcano Solfatara srl, e gli altri 5 soci della società che gestisce il sito naturalistico. A giorni il gup Claudia Picciotti fisserà la data per dare inizio al lavoro del collegio di periti che si svolgerà in presenza di tutte le parti. Una inchiesta complessa, una battaglia legale in un ginepraio di norme spesso poco coerenti tra loro. E un confronto anche tra scienziati. Il geologo Franco Ortolani, da pochi mesi eletto deputato in Parlamento, è il perito di parte della famiglia Carrer mentre il vulcanologo Giuseppe Luongo, ex senatore ed ex direttore dell'Osservatorio Vesuviano, è il perito di parte incaricato dagli Angarano. «Lasciamo lavorare in serenità i magistrati dice Ortolani Nella nostra perizia abbiamo evidenziato come siano necessari e urgenti gli interventi di messa in sicurezza di molti sentieri dell'area della Solfatara. Va delimitato in sicurezza l'intero tracciato e non si possono lasciare i visitatori liberi di muoversi tra quelle fumarole e su quel terreno friabile in più punti».

Lorenzo Carrer fu il primo a morire, mentre stava scattando una foto alla Fangaia: secondo i pm la crosta di terreno sulla quale la famiglia veneta stava camminando era sottile e fragile, a causa dell'erosione interna e, forse, anche per le intense piogge dei giorni precedenti. E fin da subito la procura ipotizzò che le misure di sicurezza presenti nella struttura erano alquanto carenti. Anche per questo scattò il sequestro dell'intera area del cratere, compreso il camping. «Siamo in attesa delle decisioni della procura e con rispetto osserviamo il lavoro dei magistrati dice Luongo Vanno, però, anche avviati indagini scientifiche di alto profilo per conoscere il reale grado di pericolosità dell'area e per definire la struttura del fondo della caldera. Anche alla luce delle pubblicazioni scientifiche degli ultimi 200 anni, nelle quali non c'è traccia di un evento simile a quello avvenuto un anno fa. È indubbio che vada creato un sistema di monitoraggio e una rete di sicurezza. Su questo presupposto si potrebbe pensare di riaprire più o meno in parte l'area vulcanica, naturalmente con una serie di cautele tali da garantire la massima sicurezza per visitatori, studiosi e turisti».
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