Diritto d'autore, la battaglia finale: duello a Bruxelles sul copyright

Diritto d'autore, la battaglia finale: duello a Bruxelles sul copyright
di Francesco Pacifico
Martedì 11 Settembre 2018, 10:30 - Ultimo agg. 12 Settembre, 10:47
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Giulio Papetti, in arte Mogol, chiama tutti alle armi: «Siamo in guerra, si sta attentando al diritto d'autore. Responsabili sono le multinazionali piene di miliardi. Ma spero tanto che vinceremo: loro hanno i miliardi e fanno attività di lobbying, noi aBbiamo ragione». Luigi Di Maio invece è convinto che siamo di fronte a «un attacco alla libertà della rete». Domani a Bruxelles s'inizia a votare la direttiva Ue sul copyright, l'altro pezzo dopo il nuovo regolamento della privacy (il Gdpr passato nei mesi scorsi) con il quale la Ue prova a dare una forma giuridica a un settore, l'It, che è cresciuto anche grazie alla deregulation. E nell'aula dell'Europarlamento partiti e deputati dei singoli gruppi sono spaccati anche trasversalmente, che nessuno sa scommettere sull'esito finale.
 
I propositi della direttiva sono ineccepibili. Da un lato, infatti, vuole rafforzare la posizione dei creatori e dei detentori dei contenuti, autori ed editori titolari dei diritti d'autore e la loro possibilità di vedersi remunerato il proprio lavoro. Anche provando a dare un forma a un concetto tanto sfuggente come l'equo compenso. Dall'altro, come si legge nella relazione che accompagna il testo, si punta «a instaurare un mercato interno e a creare un sistema che garantisca l'assenza di distorsioni della concorrenza», con regole identiche per tutta l'Unione. Ma per arrivarci - e qui nasce lo scontro tra i giganti della rete - la Ue vuole affidarsi a norme dagli effetti discussi.

Il testo, all'articolo 11, prevede che le grandi piattaforme come Facebook o Twitter paghino i produttori di contenuti anche se pubblicano un link di un loro articolo. Il modello è quello di Google News, che dopo tante polemiche e tante pressioni riconosce un fisso agli editori dei quali rilancia i contenuti. Contemporaneamente - impone l'articolo 13 - sempre ai grandi media si chiede di essere giuridicamente responsabili e di controllare il materiale che gli utenti postano attraverso di loro. Wikipedia (che mesi mesi scorsi ha organizzato una serrata virtuale del servizio) deve vagliare tutte le informazioni ogni qualvolta un suo utente aggiorna una voce dell'enciclopedia scritta dal basso; YouTube deve fare altrettanto con i video diffusi dal suo sito. E in caso di uso scorretto, vanno eliminati immediatamente. Più controlli, va da sé, vuol dire meno traffico e più costi sul versante della sicurezza.

Queste sono le norme più contestate. Ma non meno il mercato è spaventato dall'articolo 4. Che dà ai governi quella pistola che gli è sempre mancato ai tavoli che con i big del web. «Gli Stati membri - si legge - possono prevedere un equo compenso per il pregiudizio subito dai titolari dei diritti a causa dell'utilizzo delle loro opere o altro materiale a norma del paragrafo». All'articolo 3, invece e con una formula che lascia adito a molte interpretazioni, si dà la possibilità alle nazioni di derogare al diritto d'autore «per le riproduzioni e le estrazioni effettuate da organismi di ricerca ai fini dell'estrazione di testo e di dati da opere o altro materiale cui essi hanno legalmente accesso per scopi di ricerca scientifica». Le start europee hanno denunciato che in questo modo uno Stato potrebbe anche imporre di rendere pubbliche informazioni e dati alla base di algoritmi matematici innovativi o brevetti scientifici nel campo per esempio delle nanotecnologie, che sono per le aziende, soprattutto le più piccole, una leva di business, di competitività e di concorrenza rispetto ai giganti loro concorrenti.

Attraverso l'Ansa, ieri, un portavoce della Commissione ha fatto sapere: «Ora o mai più. Se il Parlamento europeo non riuscirà a concordare una posizione, la riforma non potrà essere conclusa entro l'anno prossimo». Sta provando a trovare una mediazione tra i 252 emendamenti presentati il relatore, il popolare tedesco Axel Voss, il quale ha proposto per esempio di eliminare - nei contestati articoli 11 e 13 - sia i filtri ai contenuti sia le limitazioni all'uso dei link, che costringerebbe le piattaforme a pagare gli editori. Sul versante opposto i socialisti l'Alde, i verdi, i liberali di Efdd (dove sono i Cinquestelle e un tempo c'era la Lega) chiedono l'abolizione delle due norme.
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