Copyright, il Parlamento Europeo ha approvato la direttiva: ecco cosa cambia

Il Parlamento Europeo ha approvato la direttiva sul copyright: ecco cosa prevede
​Il Parlamento Europeo ha approvato la direttiva sul copyright: ecco cosa prevede
Mercoledì 12 Settembre 2018, 13:24 - Ultimo agg. 20:19
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Il Parlamento Europeo ha approvato la direttiva sul copyright. Il voto a favore è arrivato dopo l’approvazione di emendamenti che hanno reso più chiare alcune formulazione degli articoli 11 e 13, ritenute in precedenza troppo ambigue. La direttiva era stata bocciata in una precedente votazione, avvenuta a inizio luglio, portando al nuovo esame da parte del Parlamento.



La posizione del Parlamento europeo sulla riforma del copyright è stata approvata dalla plenaria di Strasburgo con 438 voti a favore, 226 contro e 39 astensioni. È stato anche adottato a maggioranza il mandato per cominciare i negoziati con Consiglio e Commissione Ue, necessari per arrivare alla definizione del testo legislativo finale. «È un buon segnale per l'industria creativa e culturale europea», ha dichiarato il relatore del provvedimento, il popolare tedesco Axel Voss, ringraziando i colleghi per «il risultato ottenuto insieme».

Il via libera alla riforma del copyright da parte dell'Europarlamento è «un segnale forte e positivo», in quanto «ora possono incominciare le discussioni tra i colegislatori» per arrivare al testo finale della direttiva. Così il vicepresidente della Commissione Ue al mercato digitale Andrus Ansip e la commissaria al digitale Mariya Gabriel dopo il voto a Strasburgo, assicurando di essere «pronti a iniziare a lavorare con Parlamento e Consiglio in modo che la direttiva sia approvata il prima possibile, idealmente entro la fine del 2018». L'obiettivo è che il testo finale sia «equilibrato e positivo» e che consenta «una vera modernizzazione della legislazione sul copyright di cui l'Europa ha bisogno» con «benefici tangibili per cittadini, ricercatori, educatori, scrittori, artisti stampa e musei» garantendo al contempo la libertà di espressione e lo sviluppo delle piattaforme».

COSA PREVEDE La riforma Ue nasce dalla constatazione delle difficoltà che incontra oggi la tutela del diritto d'autore nel mondo digitale. Il diritto d'autore e i diritti connessi sono diritti di proprietà intellettuale esclusivi, che proteggono, con qualche eccezione, il lavoro dell'autore o del creatore (un libro, un film, un software, eccetera) e gli interessi di coloro, come gli editori o le televisioni, che contribuiscono a rendere le opere disponibili al pubblico.

La direttiva Ue sul copyright in vigore fino ad oggi, spiega Tambiama Madiega del servizio Ricerca del Parlamento Europeo in un corposo briefing ("Copyright in the digital single market") dedicato alla questione, risale al 2001: la normativa tuttavia «ha faticato ad adattarsi» all'ambiente digitale, riconosce il servizio studi del Parlamento Europeo. Di qui la decisione di procedere ad una riforma: la Commissione, dopo una serie di consultazioni, ha deciso che il quadro legislativo Ue deve essere modernizzato e ha pertanto proposto un pacchetto di norme nel settembre 2016, tra le quali anche la direttiva sul diritto d'autore nel mercato unico digitale.

Il dibattito si è concentrato essenzialmente su tre questioni: la creazione di un nuovo diritto che consentirebbe agli editori di pubblicazioni giornalistiche di ottenere un compenso per l'utilizzo digitale dei loro articoli (articolo 11); l'imposizione alle piattaforme on line come Youtube di misure atte a monitorare i contenuti, al fine di tutelare la remunerazione del diritto d'autore (articolo 13); la creazione di una nuova eccezione sul copyright per consentire l'utilizzo di tecniche di 'text and data mining' nell'Ue (articolo 3).

La normativa passata in archivio dopo la votazione odierna, all'articolo 5 della direttiva in vigore sul copyright, permetteva l'uso di opere protette da diritto d'autore per alcuni scopi senza la previa autorizzazione dell'autore o di altri aventi diritto. Tuttavia, la lista delle eccezioni non era obbligatoria, bensì opzionale: ciò comportava che gli Stati membri potessero decidere in autonomia quali eccezioni e limitazioni prevedere. Il text and data mining, come vengono definite in gergo tecnico l'esplorazione e la lavorazione di grandi quantità di dati, che consente ai ricercatori di delineare delle tendenze e altre informazioni preziose per la ricerca, poteva violare le leggi sul copyright in alcuni Paesi e non in altri, cosa che costituiva un problema non da poco per i settori che utilizzano queste tecniche, come la sanità.

Un altro grosso problema erano le difficoltà e gli ostacoli che incontravano le emittenti, i fornitori di servizi e le istituzioni culturali per assicurarsi i diritti e rendere i propri contenuti disponibili on line oltre confine, a causa principalmente di vincoli contrattuali che limitavano fortemente la disponibilità di contenuti audiovisivi sulle piattaforme video on demand. Pertanto, molte produzioni audiovisive europee non erano disponibili su queste piattaforme. Nello stesso modo, le istituzioni culturali (biblioteche, musei, eccetera) avevano difficoltà a digitalizzare i loro contenuti e a renderli disponibili oltre frontiera: il problema risultava molto grande per le opere fuori commercio, ancora protette da copyright ma non più disponibili al pubblico.

Un altro problema, ben noto, riguardava la stampa, che sta passando al digitale: tuttavia, i ricavi provenienti dal digitale non compensavano il crollo dei proventi dalla carta stampata. Secondo la Commissione, le cause erano molteplici: tra queste c'è l'incapacità degli editori di monetizzare i contenuti digitali, mentre i social network, gli aggregatori di notizie e i motori di ricerca sono diventati i principali canali di fruizione delle notizie on line. Gli editori avevano anche grandi difficoltà nel concludere accordi di licenza con i fornitori di servizi on line per l'utilizzo dei loro contenuti. Gli editori dovevano poi affrontare l'incertezza giuridica relativa alla possibilità effettiva di essere remunerati per l'utilizzo dei loro contenuti. Malgrado i tentativi di alcuni Stati di concedere agli editori i cosiddetti diritti ancillari, o diritti di vicinato, la mancanza di diritti specifici per gli editori ne indeboliva il potere contrattuale, quando andavano a trattare con i colossi dei servizi on line.

Questo, osserva il Parlamento, metteva in pericolo la sostenibilità dell'intera industria editoriale, che investe nella produzione e nella pubblicazione di contenuti, ma che non riceve più, in cambio, un flusso di ricavi adeguato. In generale, i titolari dei diritti si trovavano in difficoltà quando si tratta di monetizzare e controllare la distribuzione on line dei loro contenuti, una situazione che in gergo è definita 'value gap', o ammanco di valore.

I titolari dei diritti, per esempio, non riuscivano a rilevare quando gli utenti caricavano sulle piattaforme contenuti protetti da copyright e c'era una notevole incertezza giuridica, sottolineano gli esperti dell'Europarlamento, sulla conclusione di accordi di licenza, nonché sulla protezione on line dei contenuti tutelati dal diritto d'autore. Qui entrava in gioco un'altra direttiva, quella sul commercio elettronico del 2000, che esonerava dalla responsabilità, anche in relazione alla violazione del copyright, i fornitori di servizi informatici che trasmettono contenuti illegali forniti da un terzo nell'Ue, quando sono qualificati come meri intermediari Internet tecnici, automatici e passivi.

Questa esenzione aveva confini labili e la giurisprudenza risultava controversa, tanto che da più parti si sono levate richieste di modificare le leggi che era in vigore. Il Parlamento Europeo e il Consiglio Europeo hanno invitato più volte la Commissione, che ha l'iniziativa legislativa nell'Ue, ad intervenire. Nella revisione della direttiva proposta dalla Commissione, che risale al 2016, gli Stati devono introdurre (articolo 3) nelle rispettive legislazioni nazionali una nuova eccezione, obbligatoria, al diritto di riproduzione e al diritto di impedire l'estrazione da un database: questa nuova eccezione mira a consentire alle organizzazioni che lavorano con le tecniche del text and data mining (Tdm in gergo) di utilizzare contenuti protetti da copyright, ai quali hanno accesso in modo legale, a scopi di ricerca scientifica, senza bisogno di autorizzazione preventiva.

Questa eccezione, nella proposta della Commissione, si limita a università e centri di ricerca senza fini di lucro o che agiscono nel contesto di azioni di interesse pubblico, riconosciute dallo Stato, non per scopi commerciali. L'eccezione si applicherebbe anche a organizzazioni di ricerca impegnate in partnership pubblico-privato con imprese, ma non alle imprese private. I titolari dei diritti non possono restringere per via contrattuale l'utilizzo dei dati da parte dei soggetti elencati, né chiedere un compenso; possono tuttavia adottare misure per prevenire i rischi connessi alla sicurezza e all'integrità del database.

Si chiede anche agli Stati di introdurre nelle leggi nazionali una nuova limitazione del copyright per i diritti di riproduzione, comunicazione e messa a disposizione dei materiali a fini di insegnamento, limitate alle scuole con fini non commerciali. In materia, tuttavia, la direttiva lascia un margine di discrezionalità agli Stati nazionali. E' prevista anche un'eccezione obbligatoria che permetta alle istituzioni culturali (biblioteche e musei) di fare copie digitali delle opere tutelate da copyright che hanno in catalogo. Rimane, nella direttiva riformata proposta dalla Commissione, il principio guida della direttiva passata, cioè che uno Stato può prevedere un'eccezione al copyright solo a tre condizioni: quando si tratta di un caso speciale, che non confligge con il normale sfruttamento delle opere protette da diritto d'autore e non pregiudica in modo irragionevole i legittimi interessi del titolare dei diritti.

Viene poi introdotto, con l'articolo 11, un nuovo diritto per gli editori: finora il copyright proteggeva i lavori letterari, scientifici o artistici; concedeva anche ai produttori di film e alle emittenti dei diritti di vicinato, o diritti ancillari, che remuneravano il loro contributo economico e creativo per assemblare, editare e investire in contenuti.

Tuttavia, oggi come oggi non esiste alcun diritto simile per gli editori di pubblicazioni giornalistiche: per rimediare, la Commissione ha proposto di introdurre nelle leggi Ue un nuovo diritto connesso, che consentirebbe agli editori di tutelare con il copyright anche le pubblicazioni giornalistiche. Gli editori avrebbero così un diritto connesso esclusivo per l'utilizzo digitale delle loro pubblicazioni. Questo diritto, secondo la Commissione, dovrebbe durare 20 anni e riguarderebbe esclusivamente le pubblicazioni giornalistiche, come i quotidiani e i settimanali, ma escludendo le riviste scientifiche ed accademiche. Sulla base di questo nuovo diritto, gli editori sarebbero in grado di concludere accordi di licenza con gli aggregatori di notizie, per esempio.

La direttiva chiarisce che la protezione di questo diritto non arriva fino alla pubblicazione di collegamenti ipertestuali, o link, dato che ciò non costituisce comunicazione al pubblico, in base alle sentenze della Corte di Giustizia Ue. Tuttavia, l'esatta portata di questo diritto solleva interrogativi, nota il Parlamento: bisogna chiarire, per esempio, se il nuovo diritto si applica o meno ai blog, e se gli utenti finali potrebbero o meno utilizzare i cosiddetti 'snippet', cioè brevi brani di testo che compaiono sotto i titoli quando si compie una ricerca mediante un motore. Va anche chiarito esattamente che cosa si intende per 'utilizzo digitale' di una pubblicazione di stampa.

Altro punto controverso è l'articolo 13, con il quale la Commissione intende rafforzare la posizione dei titolari dei diritti perché possano negoziare e ottenere una giusta remunerazione per lo sfruttamento on line dei contenuti protetti da copyright sulle piattaforme di condivisione video. In pratica, chi custodisce e rende accessibili al pubblico «grandi quantità di opere caricate dagli utenti» dovrebbe adottare misure appropriate e proporzionate per assicurare il corretto funzionamento degli accordi stipulati con i titolari dei diritti, al fine di rilevare e rimuovere i contenuti protetti da copyright 'uploadati' dagli utenti, e rimuoverli se è il caso.

Questo obbligo si applicherebbe a prescindere dalla circostanza se il provider in questione benefici o meno dell'esenzione prevista dalla direttiva sul commercio elettronico. La legge Ue impedisce ai fornitori di servizi di effettuare un monitoraggio generale dei contenuti, in virtù della Carta europea dei diritti fondamentali. Tuttavia, le piattaforme effettuano regolarmente controlli utilizzando tecnologie di riconoscimento dei contenuti, su richiesta degli aventi diritto o dietro ingiunzioni dei tribunali. La direttiva chiede anche agli editori una maggiore trasparenza: dovranno informare regolarmente gli autori dello sfruttamento del loro lavoro.

Il Consiglio, l'istituzione Ue che riunisce gli Stati membri, ha raggiunto una sua posizione il 25 maggio scorso. Per il text and data mining (articolo 3), ha voluto introdurre un'ulteriore eccezione, che consenta l'utilizzo di materiale protetto anche da parte di entità private, quando questi materiali sono legalmente accessibili. Per l'articolo 11, il Consiglio ha voluto evitare che il diritto che protegge le pubblicazioni giornalistiche on line si applichi all'utilizzo di «parti non sostanziali della pubblicazione giornalistica».

E il copyright durerebbe solo un anno, non i 20 voluti dalla Commissione.

Sull'articolo 13, quello che dovrebbe rimediare al 'value gap', il Consiglio supera la Commissione, perché a suo parere le piattaforme commetterebbero un atto di comunicazione al pubblico, quando i loro utenti pubblicano materiale protetto da copyright.

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