In vendita i beni confiscati alle mafie, Cantone: «Bene, ma si proceda con rigore»

In vendita i beni confiscati alle mafie, Cantone: «Bene, ma si proceda con rigore»
di Leandro Del Gaudio
Domenica 23 Settembre 2018, 08:00
3 Minuti di Lettura
Definisce il tema della gestione dei beni confiscati alle mafie come «un argomento cruciale per la credibilità dello Stato». E apre al progetto di mettere in vendita (ma con procedure blindate dallo Stato) quelle ricchezze strappate in via definitiva a boss e gregari. Non si tira indietro Raffaele Cantone, presidente Anac, per anni impegnato da pm antimafia in quei complessi (e spesso tortuosi) procedimenti finalizzati a confiscare piccoli e grandi imperi mafiosi. In vista della ufficializzazione del pacchetto sicurezza di marca salviniana (da domani allo studio del Consiglio dei ministri), il presidente dell'Autorità anticorruzione ragiona con il Mattino su una questione decisiva per il futuro della lotta alle mafia.

Presidente Cantone, secondo quanto sta trapelando, il nuovo decreto sulla sicurezza punta a garantire una svolta nella gestione dei beni confiscati: potranno essere venduti secondo logiche di mercato. Una possibile svolta, come la interpreta?
«È una soluzione che in linea di massima mi trova favorevole. Vede, in questi anni, tanti beni strappati alle cosche a prezzo di sacrifici enormi - sia delle forze di pg, sia ella magistratura - sono andati deperiti. Sono rimasti inutilizzati, finendo col diventare una sorta di boomerang anche sotto il profilo psicologico o culturale».
 
In che senso?

«Hanno rappresentato non un'occasione di sviluppo del territorio, sotto il profilo economico e sociale, ma una sconfitta per lo Stato. Troppe volte abbiamo constatato che la debolezza delle istituzioni, nella gestione di un bene sottratto a un mafioso, è un assist diretto in favore di chi punta a controllare il territorio da un punto di vista criminale».

Eppure, c'è un intero fronte che storce il naso di fronte alla vendita dei beni strappati alle gang. C'è chi insiste sulla necessità di valorizzare la vocazione sociale di un bene confiscato a prescindere da logiche capitalistiche. Lei sul punto che risponde?
«Personalmente vorrei che tutti i beni confiscati venissero assegnati a coop di giovani meritevoli e mossi dal desiderio di rilanciare il territorio o di offrire un servizio (e un futuro) a tutta la popolazione. Purtroppo però non è stato sempre possibile realizzare esperienze positive in questo campo, per cui non escluderei la possibilità di mettere in vendita quei beni».

Passiamo allora alle criticità di una prospettiva del genere. Non crede che la vendita di un bene mafioso rischi di finire ad appannaggio di prestanome? Non crede che gli unici ad avere un interesse ad acquistare il bene (e a disporre anche della forza economica) siano gli stessi mafiosi mascherati a cui erano stati sequestrati i beni?
«Questa possibilità esiste ed è concreta. E va guardata con il massimo del rigore e dell'attenzione da parte di tutti i soggetti che entrano in gioco quando si parla di un bene confiscato. Guai abbassare la guardia o sottovalutare il problema».

Quindi?
«È ovvio che la vendita di un bene confiscato alla camorra non può avvenire con una semplice asta immobiliare o con un annuncio on line. È chiaro che si deve intervenire con una procedura rigorosa e garantita. In sintesi, lo Stato ha gli strumenti per monitorare offerte e interlocutori, oltre che prevedere la possibile traiettoria di un progetto che sulla carta risulta convincente e che invece potrebbe nascondere insidie».

Qual è lo status quo in materia di gestione dei beni?
«Non siamo all'anno zero. Esiste un'agenzia istituita nel 2010, grazie a un'intuizione valida almeno nelle premesse, che ha sottratto al Demanio il controllo dei patrimoni illeciti. L'agenzia però è rimasta sfornita di mezzi e risorse, tanto che è arrivato un recente potenziamento con il codice antimafia del 2017, che ha cercato di rilanciare questo strumento. Ma non basta, occorrono altri investimenti e altre strategie, magari intervenendo sulla razionalizzazione delle sedi. Non occorrono tanti sportelli, l'Agenzia deve essere uno strumento snello ed efficace, ricco delle competenze necessarie per affrontare procedure complesse, anche sotto il profilo amministrativo».

Da presidente Anac, reputa possibile estendere la norma per mettere in vendita i beni confiscati anche nei processi per corruzione?
«Restituire un bene confiscato al suo antico proprietario è sempre un atto di debolezza, ben venga la vendita anche in questo caso, sempre e comunque tramite procedure di controllo straordinarie e rigorose».
© RIPRODUZIONE RISERVATA