Grandi opere in bilico, appalti in ritardo: Lega e M5S spaccati

Grandi opere in bilico, appalti in ritardo: Lega e M5S spaccati
di Francesco Pacifico
Domenica 30 Settembre 2018, 11:08 - Ultimo agg. 1 Ottobre, 07:03
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Il presidente dell'Ance, Gabriele Buia, è convinto che, «quando cambia un governo, è naturale che il nuovo ministro riveda la programmazione delle opere pubbliche. Di più, è giusto anche che si dia il tempo necessario per farlo. Io poi apprezzo il lavoro che si sta facendo nel campo della sburocratizzazione. Ma quello che non è concepibile - e il mio non è giudizio politico - è che si metta in discussione un'infrastruttura i cui lavori sono già partiti». Ogni riferimento alla Tav in Val Susa o alle ultime polemiche sull'avanzamento del Terzo Valico ferroviario non è puramente casuale.

Già prima delle elezioni il Movimento Cinquestelle aveva annunciato che avrebbe rimodulato e bloccato le grandi opere previste dalla vecchia Legge Obiettivo del secondo governo Berlusconi. Troppo inquinanti, troppo costose, spesso inutili. E una volta al potere è stato di parola: infatti su tutte le infrastrutture strategiche (soprattutto del Nord Italia) pende una spada di Damocle. Indipendentemente se si chiamino Tav, Terzo Valico, il gasdotto Tap oppure autostrade come la Brebemi, la Pedemontana, il Passante di Bologna e la Tirrenica. Lavori che, tutti insieme, valgano tra i 25 e i 30 miliardi di euro.

La spada di Damocle è il giudizio che entro novembre deve dare la commissione nominata al Mit da Danilo Toninelli. La quale, come ha detto il ministro, sta realizzando «una attenta e oggettiva analisi costi-benefici per valutare effetti sociali, ambientali ed economici. Cioè vedere quanto e se i costi superino i benefici». Soltanto tra un mese e mezzo sapremo se in Italia e in quale misura ripartiranno le grandi opere.

Al momento a esseri fermi sono soprattutto i cantieri dell'alta velocità in Val di Susa, con il consorzio Ltf che ha congelato la gara d'appalto per 31 milioni già autorizzata dal Cipe. Appena arrivato al governo Luigi Di Maio aveva subito emesso la sua condanna a morte - «È un'opera vecchia» - scatenando le ire dell'alleato Matteo Salvini. Nei giorni scorsi, per sbloccare l'impasse, la Ue ha scritto a Toninelli promettendogli uno sconto di quasi mezzo miliardo di lire sul cofinanziamento in capo all'Italia. Sempre a novembre l'analisi costi-benefici darà il giudizio sul Terzo Valico ferroviario, per collegare il porto di Genova alle reti che portano le merci verso il Nord Europa.

 

La maggioranza si è spaccata se anticipare o meno i finanziamenti per il sesto lotto dei lavori già nel Decreto Genova. I grillini hanno detto no, la Lega si è imbufalita e le aziende che lavorano per Ferrovie hanno minacciato di licenziare i dipendenti. Dubbi poi sull'economicità e sull'avanzamento di importanti arterie autostradali - la Brebemi e la Pedemontana in Lombardia, il Passante di Bologna e la Tirrenica in Toscana - dove pure ci sarebbero i soldi per accelerare i cantieri. Mentre in queste ore tra il Mise e il Mit si sta lavorando alacremente per sbloccare il Tap, il gasdotto che dall'Azerbaijan (che ci ha già minacciato di penali tra i 40 e i 70 miliardi di euro) deve rifornire di Metano l'Europa passando anche per l'Italia.

Tutto questo avviene in un Paese dove prima dell'arrivo al governo dei Cinquestelle - ci sono 270 opere pubbliche bloccate, piccole e grandi, che secondo l'Ance valgono 21 miliardi di euro. E che, se fatte partire o ripartire, creerebbero 330mila posti di lavoro e un giro d'affari di 75 miliardi. Nel suo rapporto annuale sui «Costi del non fare», l'economista della Bocconi, Andrea Gilardoni, ha calcolato che lo stop alle infrastrutture costa in termini di crescita e di spesa straordinaria per la manutenzione circa 530 miliardi di euro. Il tutto mentre l'edilizia - settore che rappresenta circa il 17 per cento del Pil - ha visto crollare di 104 miliardi il suo fatturato dal 2008 a oggi.
Il governo Conte ha promesso «il piano infrastrutturale più consistente» della storia. Da Palazzo Chigi spiegano che nel bilancio dello Stato ci sono 117 miliardi per questi capitoli di spesa, ai quali se ne aggiungeranno altri 15 miliardi, dei quali oltre un terzo sarà speso per un piano di manutenzione straordinaria su strade, autostrade, ponti e scuole, che farà la gioia delle piccole e medie imprese edilizie. Tutte le infrastrutture strategiche del Sud (alta velocità Napoli-Bari, velocizzazione della Battiglia Reggio Calabria, la Jonica) sono state confermate. La Lega è convinta che alla fine si faranno anche la Tav e il Tap, intanto l'incertezza avrebbe spinto Anas e Ferrovie, i maggiori investitori pubblici del Paese, a rallentare i loro impegni, che rispettivamente valgono 30 e 7 miliardi di euro. Senza contare la crisi delle aziende del settore: Condotte è commissariata, Astaldi invece ha presentato la richiesta di concordato preventivo. Ufficialmente l'azienda romana paga i ritardi nella vendita del Terzo Ponte sul Bosforo, ma qualcuno dice che si teme anche per gli appalti in Italia come quelli sull'A4 Milano Torino e per la Metropolitana di Napoli.
 
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