Lavoro, l'ingorgo generazionale
penalizza i giovani

Lavoro, l'ingorgo generazionale penalizza i giovani
di Giusy Franzese
Lunedì 8 Ottobre 2018, 17:59 - Ultimo agg. 20:20
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Un mercato del lavoro anagraficamente sempre più vecchio, con lo spazio per i giovani che si riduce non solo come qualità del lavoro (stragrande maggioranza di contratti precari, a termine) ma anche come numeri assoluti.  In dieci anni (dal 2008 ad oggi) nella fascia di età 15-34 i posti a  disposizione sono diminuiti di ben un milione e 863.000 con  il tasso di occupazione in discesa al 9,3%.  Colpa dell'invecchiamento della popolazione, del pensionamento spostato in avanti? Anche, ma non solo. Il calo dei posti occupati dai giovani è stato molto più alto, di quasi mezzo milione di unità, rispetto al  calo della popolazione della stessa fascia di età registrata nel medesimo arco di tempo (2° trimestre 2008 fino al 2° trimestre  2018) pari a  1 milione e 374 mila unità.  Contemporaneamente i disoccupati under 35 sono aumentati di quasi 330 mila unità, e quello degli inattivi
di quasi 160 mila. Lo rivela il report “Ingorgo generazionale?” realizzato dalla Fondazione Di Vittorio della Cgil. 
Prendendo  a riferimento tutte le classi di età (15-34, 35-49, 50-64), emerge dallo studio che solo tra i giovani (15-34 anni) tutte le grandezze del mercato del lavoro peggiorano: meno occupati, più disoccupati, più inattivi, cambiando profondamente, a loro sfavore, la gerarchia nel mercato del lavoro, con particolare criticità nel Mezzogiorno, dove il tasso di occupazione attuale (29,8%) segna un ritardo di oltre 20 punti percentuali rispetto al tasso di occupazione del Nord (51,0%).
L’età resta un elemento discriminante sul lavoro a sfavore dei giovani. Le gerarchie sono cambiate: 10 anni fa il tasso di occupazione dei giovani era più elevato di quello dell’età matura (50,7% contro 47,1%): nel secondo rimestre 2018 i punti di differenza sono diventat 19, ma a favore dei più anziani (41,4% contro 60,3%). Anche le classi di età intermedie tra i 35 ed i 49 anni hanno visto ridursi il tasso di occupazione, ma la differenza (-2,7 punt), è molto più contenuta rispetto ai più giovani. Simmetricamente, il tasso di inattività dei giovani, che era quasi di 9 punti  inferiore a quello delle classi di età mature, è nel secondo trimestre 2018 di circa 13 punti superiore (48,5% contro 35,4%). Il tasso di disoccupazione - osserva ancora il report - , così come il numero di disoccupati, è cresciuto in tutte le classi di età: tuttavia, l’aumento in punt percentuali di quello giovanile (+7,9) è circa il doppio di quello della fascia intermedia (+3,9 punt) e più del doppio di quello della fascia matura (+3,6).

Abbassare l'età del pensionamento, con la "quota 100" che il governo vuole introdurre, servirà anche a dare più possibilità ai giovani? Il governo gialloverde ne è copnvinto, molti economisti - e anche il presidente dell'Inps, Tito Boeri - non vedono un legame automatico "tot pensionamenti, tot assunzioni".
In Cgil invece sono più possibilisti, mamettono in guardia sulla qualità del lavoro che verrà creato. 
«E' ragionevole collegare questi dati principalmente agli interventi legislativi (Legge Fornero) che hanno spostato ulteriormente in avanti l’età del pensionamento, ma è anche evidente che l’attuale modello di sviluppo non propone lavoro in qualità e quantità adeguate. Sbloccare quindi la possibilità di pensionamento è giusto e necessario, ma di per sé non è sufficiente a garantire un aumento di pari entità del lavoro tra i più giovani, né un miglioramento della sua qualità. Insomma solo uno sviluppo di qualità potrà far lavorare di più e meglio i giovani» dice il presidente della Fondazione Di Vittorio, Fulvio Fammoni. Per la segretaria confederale della Cgil, Tania Scacchetti, «il cambiamento della composizione del mercato del lavoro che si evidenzia, richiede riflessioni profonde, anzitutto sul fatto che la domanda di lavoro che c’è, ancorché scarsa, non scommette sulle giovani generazioni. Di innovazione, capacità digitali, abilità 4.0, elevate competenze si parla molto, ma probabilmente riguardano ancora una quota molto parziale del sistema produttivo»«Una seconda riflessione - aggiunge la dirigente sindacale - riguarda le misure incentivanti degli ultimi anni, del tutto insufficienti se non addirittura fallimentari se non sostenute da politiche industriali, investimenti, sostegno alla qualità del lavoro e al suo riconoscimento sociale ed economico». Di qui l'invito della Cgil: «Mettere in campo un forte piano di investimenti pubblici e privati, un piano straordinario per l’occupazione giovanile e una politica fiscale progressiva fortemente redistributiva a favore dei lavoratori e dei pensionati».
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