Casalesi connection in Campania
così il clan ricicla il denaro sporco

Casalesi connection in Campania così il clan ricicla il denaro sporco
di Marilù Musto
Lunedì 15 Ottobre 2018, 13:03 - Ultimo agg. 16 Ottobre, 07:03
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Il boss Francesco Bidognetti quando ha bisogno di concentrazione dice al suo compagno di cella che ha da leggere qualcosa di molto, molto importante. E chiede di non essere disturbato. Il giorno dopo, in udienza, si presenta sempre con il suo fascicolo di atti processuali fra le mani. Il compagno di cella si aspetta, poi, che accada qualcosa durante i processi. E invece nulla, non accade mai nulla. Perché il capo dei capi del clan dei Casalesi non si aspetta gradi cambiamenti nella sua vita, non si chiede se uscirà mai dal 41 bis. Anzi, rivendica la sua posizione, anche di fronte ai giudici: «Sono stato ciò che tutti sapete, ma ora sono cambiato», ha esordito durante l'ultima udienza in Tribunale, videocollegato con l'aula del palazzo di giustizia di Santa Maria Capua Vetere. «Si può cambiare, non per forza pentendosi».

LE DISSOCIAZIONI
Non ce l'ha fatta Francesco Schiavone «Cicciariello», cugino del boss conosciuto come «Sandokan», che ha preferito dissociarsi. Fine pena mai, invece, è la condanna di Francesco Bidognetti. Solo che il capoclan studia, legge le ordinanze e prepara i ricorsi in Cassazione. Si allena a non impazzire al regime del carcere duro. Lucido, spigoloso, interviene spesso durante il dibattimento. Sa bene che uscirà dalla cella solo da morto.

I GREGARI
I suoi affiliati fanno il resto, liberi, concentrandosi sul Litorale Domizio. E dal carcere, Francesco Bidognetti, dal sopranome scoppiettante, «Cicciotto e mezzanotte», non ci pensa proprio a designare un suo capo all'esterno. Non dopo il disordine creato da Giuseppe Setola «O'cecato» fra il 2008 e il 2009: la scheggia impazzita che fece piombare nel Casertano ministri ed esercito, con il risultato che il clan dei Casalesi fu decapitato. Allo stato, c'è sicuramente un manipolo di ex bidognettiani che hanno sempre vestito il ruolo di piccoli gregari e che ora guardano con interesse al progetto del porto di Pinetamare. Una mano alla rivoltella e l'altra alla piantina del futuro progetto. Si tratta del piano dei costruttori Coppola che prevede la realizzazione, nell'area del parco Saraceno, del porto turistico da milleduecento posti barca. Affare succulento per il clan dei Casalesi che, forse, già pensa di far visita al cantiere e di chiedere la sua parte. Impossibile resistere. C'è però un altro settore in cui i «simpatizzanti» bidognettiani, in accordo con i gruppi del napoletano, stanno investendo: i centri scommesse e le sale gioco. Caserta è la quinta provincia in Italia ad avere il maggior numero di centri scommesse e sale giochi in tutta Italia. Prima di Terra di Lavoro c'è Bari.

I CENTRI SCOMMESSE
Pur non essendo un capoluogo di Regione, Caserta è da record. Nessuno però indaga sulla «gemmazione» di sale in ogni angolo della provincia. Non ci sono i morti ammazzati, quindi l'emergenza non c'è. E le inchieste non ci sono. Non si sentono. Eppure, il mondo del gioco è il più «pulito» per riciclare il denaro sporco della camorra. La città che ha più punti in assoluto è Aversa, dopo Caserta. Ma non scherza neanche San Felice a Cancello. Poi, ci sono gli imprenditori: quelli che sono stati sotto scacco della camorra, ma hanno anche strumentalizzato nel corso di 20 anni il clan dei Casalesi di Michele Zagaria e pure gli altri. Lo hanno fatto per ottenere commesse e ora dirigono aziende leader nel settore della logistica e dei trasporti, delle bonifiche di discariche nella Terra dei Fuochi e degli investimenti nel gioco. Loro sono la «cassaforte» del clan dei Casalesi, delle famiglie Schiavone, Zagaria, Bidognetti e Belforte. Famiglie che, apparentemente, sembrano impoverite perché non pagano da anni gli avvocati difensori di mariti, fratelli e cognati. E qualcuno dei figli dei vecchi «capibastone», forse, sta già brigando per ottenere il reddito di cittadinanza promesso dal Governo.

Il settore dell'immigrazione, invece, viene lasciato a imprese apparentemente «pulite». Dopo aver sondato il polso dei progetti di accoglienza, il clan ha decretato che è troppo complicato entrare in questo mondo, per via della «radiografia» in Prefettura che viene fatta ad ogni impresa. Si fa spazio il campo della droga anche a Casal di Principe, San Cipriano d'Aversa e Villa Literno, paesi dove fino a 20 anni fa nemmeno si pensava di poter spacciare. Qui, la vendita al dettaglio avviene con pony express che recapitano a casa le dosi.

LE SCARCERAZIONI
Chi invece è con un piede fuori dal carcere è Raffaele Cantone detto «Malapelle», capozona di Trentola Ducenta. A dicembre potrebbe tornare in libertà. Ha un fratello, Francesco, collaboratore di giustizia. Ha evitato per anni la galera dicendo di essere ammalato, poi è finito dentro perché ai domiciliari picchiava la moglie. È tornato libero Carmine Zagaria, fratello del temutissimo Michele. Liberissimo sarebbe, infine, una vecchia guardia dei Casalesi, Giacomo D'Aniello. Arrestato nel giugno del 2017 nel basso Lazio, D'Aniello è considerato il reggente del gruppo dal 2011, dopo gli arresti di Lorenzo Ventre e Luigi Chianese che gestivano Aversa, Lusciano e San Marcellino. L'ipotesi, è che regga le fila del gruppo bidognettiano chiamato «nuova gerarchia del clan dei Casalesi».

I PENTIMENTI
Sullo sfondo, il pentimento del primogenito di Francesco Schiavone «Sandokan», Nicola, che ha gettato scompiglio a Casale.

Altra generazione, altra mentalità rispetto a quella dei padri fondatori. Nicola Schiavone è ora in un carcere per collaboratori, mentre la sua famiglia è spaccata fra chi ha aderito al programma di protezione e chi no. L'unica famiglia che resta unita da un patto criminale di silenzio è quella di Francesco Bidognetti, che chiede concentrazione per studiare. Mentre i suoi referenti tessono affari utilizzando il suo nome.

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