La prevenzione, un’abitudine che ci è estranea

di Erasmo D’Angelis
Lunedì 5 Novembre 2018, 00:04
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Altri 30 morti aggiunti alla desolazione della nostra Spoon River. Sono le vittime di una settimana drammatica, definita “ apocalittica ” dal capo della Protezione Civile che va su e giù per un’Italia frustata da uragani che hanno spazzato via moli e litorali e gonfiato fiumi all’inverosimile.

E’ stato abbattuto quasi un milione e mezzo di metri cubi di foreste e un immenso patrimonio di alberi urbani, lasciando in emergenza Veneto, Friuli, Trentino, Liguria e, da ieri, anche la Sicilia tornata sulle prime pagine dei giornali dopo l’ennesima strage da alluvione. E’ duro e crudele l’ultimo sterminio di due famiglie con 9 annegati nella villetta di Casteldaccia, probabilmente abusiva e sicuramente nel letto di uno di quei torrentelli che per undici mesi sono solo polvere ma diventano killer e valanga d’acqua con piogge battenti. Era però già tutto scritto, e anche quest’ultimo orrore racconta la cecità totale, l’incuria cronica, l’abbandono di ogni cautela e torna a galla i l solito stramaledetto problema italiano di non riuscire a svoltare verso la prevenzione. Basta leggere i rapporti della Protezione Civile dell’isola che fu un tempo modello di cultura avanzata. E’ un thriller, fanno spavento. Elenca ben 7.178 “ nodi a rischio ”. Cosa sono? Le “intersezioni” tra viabilità e corsi d’acqua, e 2.500 nodi sono “esplosivi” e in queste ore stanno esplodendo con esondazioni e danni.

Elenca centinaia di letti di fiumare e torrenti trasformati in fondamenta di edifici e ponti, strade, marciapiedi e parcheggi. Un catalogo di errori madornali e abusivismo unico al mondo, C’è il torrente Virna di Capo d’Orlando che sbocca sulla provinciale 71 e dentro un centro abitato, ci sono le strada di Letojanni che si sovrappongono alla fiumara e quelle di Gioiosa Marea che un tempo erano il torrente Calava diventato statale a due corsie, c’è il torrente di Giampilieri che pure ha pagato con 37 morti l’alluvione del 1 ottobre 2009 che fa spazio alla strada comunale. A Messina c’è la barbarie del fiume Rodia che sfiora l’accesso alle abitazioni, del torrente Santo Stefano che finisce in un parcheggio, del fiume Savoca che sbocca sulla strada e altri che sono scomparsi sotto asfalto e cemento ma pronti a riprendersi gli spazi rubati. A Pachino il fiume ha il guado nel centro abitato, e tanti altri corsi d’acqua attraversano come vene pulsanti il sottosuolo di paesi e città a partire da Palermo rinchiusi in tubature ridicole e cementificati. E’ a Sicilia che ha tre quarti del territorio a rischio medio-alto di dissesto idrogeologico e 4 milioni di persone potenzialmente in pericolo. Che su 62.900 chilometri di arterie stradali e autostradali censisce 10.600 dissesti, una frana ogni seimila metri, il 63% della rete stradale interessata da “scivolamenti” e il 37% da “crolli di roccia ”. 

Ma nessuno sa più né progettare né spendere la montagna di soldi piovuta sull’isola per aprire i cantieri di opere che salvano vite umane e danno anche lavoro. Dal 2000 al 2010 sono arrivati nelle casse della Regione ben 681 milioni che dovevano trasformarsi in 541 opere definite “ inderogabili ”, nel 2016 si aggiunsero altri 590 milioni per interventi “ non rinviabili ”, e fanno un totale di 1 miliardo e 271 milioni. Un botto, e dovevano rafforzare argini, ripulire letti di fiumi, limitare i danni del clima e delle speculazioni edilizie con opere e manutenzioni a monte dei centri urbani. Quanto è stato speso in 18 anni? Appena 378 milioni con altri 127 milioni fermi in fase di gara. Tutto qua. Motivi? Menefreghismo istituzionale, burocrazia, conflitti di competenze tra assessorati, immobilismo. 

E’ la deprimente constatazione che non abbiamo imparato tante lezioni a partire dalla più grande subìta dalla notte del 4 novembre del 1966, quando iniziarono le più devastanti alluvioni del Novecento italiano. Vale la pena un ripasso di memoria. Cinquantadue anni fa, in queste ore, l’Italia faceva il giro del mondo per il grosso delle acque dell’Arno entrate a 70 chilometri all’ora dentro Firenze ad altezza fino ai secondi piani. Era in atto la prima alluvione mediatica che commosse e mobilitò il mondo e portò alla ribalta la prima generazione degli angeli del fango. Era la tempesta perfetta, un evento a larga scala tra i più penalizzanti della storia della meteorologia, colpiva duro il centro-nord senza che nessun ente o istituzione avesse avuto la benché minima percezione del pericolo e sapesse come fronteggiarla. Era un’altra Italia. Non c’era la Protezione Civile e a fatica l’Esercito si mosse dopo 4 giorni dopo per soccorrere 1.119 Comuni in 34 Province.

L’Italia di allora aveva alle spalle il Polesine sommerso il 14 novembre del 1951 con i suoi 88 morti e i 180 mila sfollati di 38 comuni allagati dal Po. Aveva le centinaia di annegati nelle acque impazzite del Volturno e del Calore Irpino e che il 2 ottobre del 1949 sconvolsero Benevento, Avellino, Caserta e Salerno. La Calabria piantava 64 croci nell’ottobre del 1951 per frane su 84 paesi e poi non ci fu più spazio nei cimiteri dopo l’alluvione del 21 e 22 ottobre del 1953 nel versante jonico. Il 25 e il 26 ottobre 1954 era ancora toccato alla Campania con la costiera amalfitana dove l’alluvione trasformò in più punti la morfologia del litorale tra Salerno, Vietri, Cava de’ Tirreni, Maiori, Minori, Tramonti. In tutto 318 vittime, 107 a Salerno, e danni per 50 miliardi di lire. 

Il Presidente della Repubblica, Luigi Einaudi, da Salerno, diede inizio alla saga degli impegni non mantenuti dalla politica, ai tanti e ripetuti “ci impegneremo per una ampia opera di prevenzione in tutto il Paese” . Il Parlamento, invece, reagi nel peggiore dei modi, dando inizio a una saga di rinvii che saranno la base delle tante fattispecie di condoni. Se noi aumentavano i rischi, altri imparavano la lezione e iniziavano a proteggersi. Accadeva nel nord Europa dopo la notte da fine del mondo tra il 31 gennaio e il 1 febbraio del 1953. La tempesta perfetta sul Mare del Nord devastò le coste inglesi, olandesi, danesi, belghe e francesi. Ci furono 2.400 morti e rovine colossali. Loro però, dopo i funerali di Stato, misero su task force di esperti e investimenti per opere di difesa. Ci misero vent’anni e oggi garantiscono la sicurezza di città e grandi porti come Rotterdam e Anversa. Nel 2007 furono “collaudate” durante la nuova tempesta perfetta, e poi da impressionanti uragani atlantici. Paura tanta, ma nessun morto e pochi danni. Vale la pena imparare in fretta questa lezione per non piangere altri morti.
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