I ricordi di Attilio Belloni:
«Quella brutta copia
che mi costò un tre»

I ricordi di Attilio Belloni: «Quella brutta copia che mi costò un tre»
di Maria Chiara Aulisio
Sabato 17 Novembre 2018, 18:00 - Ultimo agg. 12 Gennaio, 20:38
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Attilio Belloni, presidente della Camera penale di Napoli, il giorno della sua prima arringa a Castelcapuano, in un'aula di giustizia affollata e rovente, non lo dimenticherà mai. Era preparatissimo, il giovane penalista napoletano, infiammato al punto giusto, pronto a partecipare alla conclusione della fase dibattimentale di un processo lungo e complesso, per arrivare finalmente alla sentenza. Quella discussione a difesa dell'imputato, che con sguardo severo lo fissava attraverso le sbarre, l'aveva preparata e studiata in maniera esemplare, letta e riletta, nulla era stato lasciato al caso: ogni parola di ciò che avrebbe dovuto ripetere in quell'aula era stata pesata col bilancino, valutata e analizzata con i colleghi. Eppure, nonostante tutto, fu un disastro.
 
 

Che cosa accadde, avvocato?
«Scappai».

Scappò dall'aula?
«Non ce la feci a reggere la pressione psicologica del processo e andai via. Ero giovanissimo, poco più che ventenne, in aula c'erano i detenuti, i parenti, una quantità di gente che non mi aspettavo. Mi prese un'ansia terribile. Avvocato Belloni. Dov'è l'avvocato Belloni? Chiamate l'avvocato Belloni! - quando il giudice cominciò a cercarmi, me l'ero già data a gambe».

E l'imputato, che fine fece?
«Non trovandomi più, chiamarono l'avvocato Furgiuele, mio insostituibile maestro, nel cui studio all'epoca ancora facevo pratica. Furgiuele chiese un rinvio, che il giudice gli concesse». 

Brutta esperienza.
«Momenti terribili, però posso assicurare che mi è servito. In quell'occasione, capii che non bastava preparare un'arringa perfetta, per essere efficace e guadagnarsi il successo: bisognava tirar fuori la grinta, il coraggio e la determinazione. Un buon penalista deve sapere entrare nelle corde della gente, in sintonia con giudici e imputati. Da quel giorno, cambiò tutto: le aule dei tribunali diventarono uno dei luoghi dove mi sentivo, e mi sento ancora, più a mio agio che mai».

Da Castelcapuano, torniamo al liceo; quale scuola ha frequentato?
«L'istituto Pontano. Lì ho cominciato a coltivare anche la mia grande passione per il calcio, ho giocato negli allievi del Napoli fino a 17 anni, quando una brutta caduta dal motorino mi costrinse a lasciare. Peccato, ero bravino davvero, e poi il gioco del calcio mi piaceva assai. In ogni caso, ho ricordi bellissimi di quegli anni. Un periodo straordinario e spensierato, i miei migliori amici sono quelli che ho incontrato tra quei banchi: Filippo Arpaia, Luca Piscitelli, Maurizio Pane... per citarne qualcuno. E anche quelli del parco Manzoni, abitavo lì, un piccolo paradiso dove fin da bambino mi sono divertito da morire».

Bravo studente?
«Me la cavavo abbastanza bene, ho sempre fatto il mio dovere; anche se, per la verità, un anno, già a novembre decisero che sarei stato rimandato in greco. E così fu».

Dal mese di novembre alla fine dell'anno non le diedero la possibilità di recuperare l'insufficienza?
«No, la professoressa decise che doveva essere una punizione, e il rendimento non c'entrava nulla».

Che cosa aveva combinato, avvocato Belloni?
«Se ci penso, ancora mi viene da ridere. Era il giorno del compito di greco, stavamo quasi per consegnare le versioni, quando Paola Taranto - una compagna di classe che sedeva qualche banco avanti al mio - mi fece arrivare la sua brutta copia per farmi controllare alcuni passaggi che pensavo di avere sbagliato». 

E fin qui normali dinamiche di classe. 
«Il problema nacque quando la professoressa Gianì, che secondo me già allora aveva ottant'anni, si accorse di questo strano movimento e chiese a Paola di consegnarle la brutta».

Bel problema per la povera Taranto.
«Professoressa, non la trovo più rispose. L'ho persa. Come è possibile che hai perso il compito senza mai esserti mossa dal tuo banco? le chiese la Gianì, che tutto era tranne che scema. Adesso concluse o viene fuori la brutta della Taranto oppure metterò tre a tutti, anche a chi ha tradotto la versione da otto».

Panico.
«Gli occhi dell'intera classe si posarono su di me, tutti sapevano che ce l'avevo io la versione di Paola e non avevano alcuna intenzione di prendersi un tre per colpa mia. Con lo sguardo mi fecero capire che avrei fatto meglio a consegnarla subito, altrimenti me la sarei vista con loro».

Nessuna alternativa, insomma.
«Bella solidarietà tra compagni... Scherzo. Mi alzai in piedi, mollai la versione di Paola alla Gianì e naturalmente il tre lo presi solo io. Insieme, però, con quelli che se lo meritarono perché la versione l'avevano fatta uno schifo».

Così, fu rimandato.
«Senza appello. Dopo l'episodio, la professoressa convocò mia madre, per altro insegnante anche lei, e le comunicò che poteva già considerarmi rimandato in greco. Avrei potuto prendere anche tutti otto, il mio destino non sarebbe cambiato: era una questione di principio, dovevo essere punito per quello che avevo fatto. E così andò. In ogni caso, anche quella lezione mi fu molto utile a capire che imbrogli e sotterfugi non servono; e, anzi, quasi sempre ti rovinano la vita».

Dall'istituto Pontano alla facoltà di Giurisprudenza della Federico II.
«Ho sempre avuto un grande interesse per la difesa dei diritti; la politica forense, poi, mi appassionava. Dopo la maturità, non ebbi incertezze: sarei diventato avvocato. Mio padre ne fu contento, era un dirigente della Shell; anche lui riteneva che fosse il mestiere giusto per me. E poi avevo già un fratello medico e una sorella biologa. Il mio futuro da avvocato era deciso».

Idee chiare, insomma.
«Dopo la laurea, entrai quasi subito a far parte del direttivo dell'associazione giovani avvocati e poi nella giunta della Camera penale, presieduta da Domenico Ciruzzi. Fui anche segretario in quella di Michele Cerabona, e responsabile della scuola di formazione della Camera penale di Napoli».

Fino a diventarne presidente.
«Sì, nel 2014. Un impegno importante. Credo molto nei buoni risultati di una associazione che si occupa della tutela dei diritti dei cittadini, anche se coinvolti in un processo penale. È bello pensare che negli anni abbiamo vinto battaglie essenziali di libertà e civiltà giuridica».
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