Confindustria, Boccia accusa il governo: «Certe misure sono ostili alla crescita»

Confindustria, Boccia accusa il governo: «Certe misure sono ostili alla crescita»
di Nando Santonastaso
Sabato 1 Dicembre 2018, 12:00 - Ultimo agg. 14:44
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La frenata un mese fa, ieri il segno meno. Ma che la crescita del Paese non sarebbe stata più come nell'ultimo anno lo si era già capito da tempo. Da quando ad esempio il Centro studi di Confindustria, prima dell'estate, aveva indicato il nuovo e decisamente meno brillante percorsi dell'economia italiana. E anche il recente indicatore Istat sulla fiducia delle imprese ha di fatto sancito che le prospettive del sistema Italia dovranno essere riviste, con tutto ciò che ne conseguirà in termini di manovra, tenuta dei conti pubblici e investimenti e sviluppo. Ne parliamo con Vincenzo Boccia, presidente di Confindustria che ha spesso sottolineato la necessità di rimettere l'industria e il lavoro al centro delle politiche economiche del Paese.

L'Istat rivede al ribasso le previsioni sul Pil del terzo trimestre, dopo 14 mesi di segno più: che succede, presidente?
«Succede che l'Italia frena come conseguenza di un approccio non orientato alla crescita. In particolare, si depotenziano due strumenti che hanno mostrato di avere effetti positivi sull'economia reale come Industria 4.0, il credito d'imposta su ricerca e sviluppo e il credito d'imposta sugli investimenti che riguarda esplicitamente il Mezzogiorno. E pensare che lo scorso anno questa misura è stata in grado di provocare prenotazioni per investimenti superiori ai 6 miliardi».

Le imprese hanno più volte criticato i limiti della manovra del governo, la distanza tra voi e Palazzo Chigi è abissale o recuperabile?
«La distanza è recuperabile solo se il governo riuscirà a contemperare le ragioni elettorali con quelle della crescita in una visione di medio termine, non depotenziando strumenti che hanno funzionato per lo sviluppo e aprendo cantieri. Noi non contestiamo la necessità di soddisfare i contenuti del contratto di governo ma chiediamo di aggiungere a quelli specifiche politiche per la crescita. Le uniche, tra l'altro, in grado di mettere l'esecutivo nelle condizioni di raggiungere gli obiettivi che si è dato. Solo la crescita può consentire di ridurre le disuguaglianze e combattere la povertà attraverso l'occupazione».

È per questo che le previsioni di Confindustria per il futuro sono pessimistiche? Cosa rischia veramente l'Italia?
«Le nostre previsioni non sono pessimistiche ma si basano sulla realtà: se il governo si ostinerà a puntare tutto o quasi su misure espansionistiche ma incapaci di creare sviluppo non potrà realizzare l'aumento del Pil dell'1,5 per cento su cui poggia la manovra. È un problema di coerenza: se si fissa un obiettivo bisogna mettere in campo azioni che siano almeno in teoria compatibili con l'obiettivo stesso. Reddito di cittadinanza e riforma delle pensioni, da sole, non lo sono».
 
E il Sud cosa ci può rimettere?
«Il Sud ci ha già rimesso molto. Vent'anni di dimenticanza hanno prodotto un senso di abbandono e di sfiducia che si può superare solo con una convinta politica per la crescita e l'occupazione. Il lavoro è quello di cui ha bisogno il Mezzogiorno più di quanto non ne abbia l'intero Paese. Il lavoro vero, produttivo. Il Sud di tutto ha bisogno tranne che di una nuova stagione assistenziale. Occorre evitare una delusione al Mezzogiorno che potrebbe trasformare la dimensione di ansietà in assuefazione. E sarebbe un fallimento della politica».

L'occupazione frena, senza incentivi non si fa molta strada?
«L'occupazione frena sia per mancanza d'incentivi che per politiche sbagliate che abbiamo segnalato da tempo e per tempo. Una certa ostilità che si legge nei provvedimenti di questo governo nei confronti delle imprese scoraggiano gli investimenti privati e piuttosto che indurre a creare posti di lavoro li cancellano. Un esempio su tutti è la cosiddetta Legge Dignità che aumenterà solo il ricambio dei lavoratori a tempo determinato perché le imprese non si assumeranno il rischio della conflittualità penalizzando proprio chi si voleva difendere».

Manca una visione per il Paese.
«È quello che chiediamo alla politica: che cominci a interrogarsi su che tipo di Paese vuole costruire per noi e i nostri figli. Un Paese ripiegato su stesso o un Paese aperto e inclusivo? Un Paese che chiude i cantieri o chi li apre? Un Paese in perenne conflitto con l'Unione europea o in grado di contribuire alla nascita di una nuova Europa che diventi miglior posto al mondo per imprese, giovani e lavoro? Noi vediamo, tra l'altro, un Paese che non sia periferico ma centrale tra Europa e Mediterraneo, aperto ad est e a ovest, dando significato alla nostra speciale posizione geografica. Lunedì 3 dicembre Confindustria e altre dieci organizzazioni imprenditoriali si daranno appuntamento a Torino per parlare di Tav e investimenti per lo sviluppo. Protagonisti dell'industria, del commercio, dell'artigianato, dell'agricoltura, delle cooperative: tutti insieme per dire al governo di cambiare direzione perché quella imboccata non ci porta da nessuna parte».

Le tesi di Verona con le quali avevate lanciato una sfida alla politica sembrano già dimenticate? È così?
«Da noi certamente no. In quell'occasione abbiamo parlato di lavoro come missione Paese con due condizioni per realizzarlo: maggiore crescita e minore debito. Si tratta di indicazioni che davamo al governo che di lì a poco sarebbe nato le Assise si sono svolte a febbraio e le elezioni a marzo come contributo di un grande corpo intermedio quale Confindustria è. Dopo le Assise, quasi a completamento del lavoro svolto e in coerenza con le tesi proposte, c'è stato il Patto della Fabbrica con Cgil Cisl e Uil che riprende e rilancia molti dei temi trattati a Verona. Confindustria conferma la sua natura di corpo intermedio che si propone come ponte tra gli interessi delle imprese e quelli del Paese. Quelle di Verona e del Patto della Fabbrica sono indicazioni valide più che mai. Sarebbe ora che il governo cominciasse a farne tesoro».
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