Pensioni, con quota 100 taglio sino al 25,4% rispetto agli assegni di oggi

Pensioni, con quota 100 taglio sino al 25,4% rispetto agli assegni di oggi
Pensioni, con quota 100 taglio sino al 25,4% rispetto agli assegni di oggi
Sabato 1 Dicembre 2018, 11:24 - Ultimo agg. 3 Dicembre, 08:19
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Il centro studi della Cisl ha pubblicato sul nuovo numero del «Barometro» un nuovo studio su quota 100. «Questa - osserva la Cisl - è una risposta positiva alla richiesta di flessibilità, ma risponde solo a chi ha carriere lavorative continue». Per la Cisl: «È difficile valutare il costo di Quota 100» perché non sono ancora chiare condizioni e il divieto del cumulo retribuzione/pensione. In Manovra sono stati stanziati 6,7 miliardi per il 2019 e 7 per il 2020.

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La Cisl calcola che rispetto alla pensione di vecchiaia l'anticipo pensionistico con il meccanismo «quota 100» determina una perdita pensionistica lorda che va da un minimo di -17,8% per chi ha 42 anni di contribuzione a un massimo di -25,4% per chi ha 38 anni di contribuzione. La perdita pensionistica al netto dell'Irpef nazionale varia invece da un minimo di -15,8% a un massimo di -22,45. 

Le valutazioni. Senza finestre e/o condizioni limitanti, la somma stanziata per il 2019 sarebbe insufficiente.
Con i risparmi prodotti dalle finestre e da una percentuale di adesione non prossima al 100%, date le perdite nel rateo di pensione e la possibile introduzione del divieto di cumulo,le risorse stanziate dovrebbero essere sufficienti per il primo anno. Interrogativi suscitano invece le risorse stanziate per gli anni successivi. Chi è andato in pensione con quota 100 nel 2019 continuerà naturalmente a percepirla negli anni successivi, questa volta per tutti e dodici i mesi a prescindere da eventuali finestre nel 2019. A queste pensioni si aggiungeranno quelle di nuovi lavoratori che matureranno quota 100 nel 2020. Alla spesa per le prime si accumulerà quindi la spesa per le seconde e le risorse stanziate a partire dal 2020 potrebbero essere insufficienti. Lo studio riflette sul fatto che questo nuovo canale di uscita è condizionato tuttavia da un elevato numero di anni di contribuzione richiesti. Per chi non raggiunge questa anzianità contributiva l'unica possibilità di pensionamento è data dalla pensione di vecchiaia. La riforma del 1995 assicurava invece una flessibilità in uscita tra i 57 e i 65 anni con un minimo di anzianità contributiva; era quindi una flessibilità aperta a tutti. Questa flessibilità è stata eliminata dalla riforma Maroni del 2004 e, nonostante, le richieste, mai ripristinata.
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